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Rosario Pesce
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Quella che si è configurata, dopo il 4 dicembre scorso, non è solo la crisi di un partito, ma di un intero sistema istituzionale.
Infatti, la bocciatura della riforma costituzionale, avvenuta per mano di un corpo elettorale vasto ed articolato, dimostra bene come sia difficile, se non impossibile, nel nostro Paese avviare una riflessione sul funzionamento delle istituzioni, prescindendo da quello dei partiti.
È ineluttabile che la bocciatura di quella proposta sia coincisa con la sconfitta di un leader, il Presidente del Consiglio di allora, Renzi, che più di tutti aveva investito energie e risorse per la vittoria del Sì.
Ma, oggi le macerie di quel 4 dicembre ricadono su tutti, non solo sul PD, che è alla ricerca di una leadership in vista del prossimo voto congressuale.
Infatti, il nostro sistema partitico è soggetto a continue evoluzioni, che non aiutano il processo riformatore.
Fino al 2013, due erano i soggetti partitici italiani, il Centro-Sinistra ed il Centro-Destra, ma con l’esplosione del M5S il tripartitismo è divenuto il fatto essenziale della politica nazionale.
Di fronte a questa realtà così cangiante, è chiaro che il disorientamento non possa che prevalere.
Dunque, un insieme di fattori si contaminano, creando un quadro non idilliaco.
Crisi di identità dei partiti, che ormai fanno fatica, finanche, a riconoscersi nelle grandi famiglie della politica europea.
Crisi istituzionale, tanto più evidente, visto che la Magistratura, finanche quella della Consulta, svolge un ruolo supplente rispetto a quella che dovrebbe essere la funzione svolta dai partiti.
Crisi politica, per effetto del vulnus di rappresentatività, che l’intero arco dei partiti soffre, dopoché per decenni in Parlamento sono entrati deputati e senatori non eletti, ma nominati dai segretari e dai notabili di partito.
Crisi, infine, di fiducia, dal momento che il contemporaneo crollo del sistema produttivo non può che indurre molti Italiani ad allontanarsi da un “gioco”, quello della democrazia, che ritengono guasto ed obsoleto.
In tal senso, l’intera politica nazionale deve rifondarsi, guardando con attenzione agli errori commessi nel corso dell’ultimo ventennio, quando, dopo Tangentopoli, si sono costruite via via abitudini e modalità di comportamento, che hanno dimostrato la loro debolezza e profonda inadeguatezza rispetto alle sfide da affrontare.
Basterà la primavera del 2017 per rilanciare la partecipazione e la democrazia nel nostro Paese o, forse, stiamo vivendo l’ennesimo momento di transizione verso un futuro prossimo quanto mai oscuro ed incerto?
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