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Rosario Pesce
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Quella dell’Assemblea Nazionale del PD è stata, invero, la peggiore delle soluzioni possibili.
Avevamo scritto che era giunto il momento che il partito svoltasse in modo definitivo rispetto alla stagione di Renzi e del renzismo e che, dunque, fosse giusto ed opportuno dare pieni poteri al reggente Martina, che sta facendo un ottimo lavoro, pur tra mille difficoltà.
Invece, si è realizzato l’esito contrario: il reggente è rimasto reggente e Renzi non è stato sostituito da nessuno con la pienezza dei poteri, che meriterebbe di avere, in questo momento storico, il Segretario - pur sempre - del secondo partito italiano.
È ovvio che, in una simile condizione, il partito rischia di implodere, per cui o Renzi ed i suoi compagni di viaggio vengono messi da parte o la minoranza di Orlando, Emiliano (ed, a questo punto, dello stesso Martina) deve ipotizzare, per davvero, di uscire da un partito che non ha l’ardire di guardare oltre la prospettiva, ormai, fallita del renzismo.
Peraltro, vi è un dato ulteriore, che non possiamo non prendere in considerazione: differire i tempi della conta interna fra renziani ed anti-renziani non può che erodere il consenso residuo di una formazione, che avrebbe potuto essere parte del Governo nascente, se avesse avuto il coraggio opportuno di mettere da parte la stagione politica conclusasi con il voto del 4 marzo 2018.
Ma, come scriveva Manzoni, uno certo il coraggio non può darselo, se non lo ha avuto in dono da madre natura.
Pertanto, il PD, per tal via, nelle prossime settimane andrà incontro ad un progressivo stillicidio, che lo porterà di fatto ad una scissione, ancora, più problematica.
È pleonastico sottolineare che, in una qualsiasi organizzazione complessa, il Capo deve essere autorevole e legittimato da un consenso ampio.
In tal caso, quale legittimazione ha il reggente Martina, che non è stato investito da nessun organo della carica che riveste da due mesi?
Con quale autorevolezza potrà avviare in Parlamento l’opposizione contro il Governo che sta per nascere?
Sono, questi, quesiti che devono interrogare chi tiene alla vita del PD, a meno che non si voglia assistere ad una lenta agonia, che poi potrà indurre un trauma finale, invero drammatico ed irreversibile.
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