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Rosario Pesce
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È un dato: nella nostra società, la violenza è, costantemente, in crescita.
Violenza di ogni genere: da quella verbale a quella fisica; da quella di matrice politica o religiosa a quella di tipo privato; da quella indifferenziata a quella di genere.
In ogni caso, il violento colpisce il debole di turno o quello che crede non sia nelle condizioni di reagire.
A volte, la violenza viene, finanche, registrata e diffusa attraverso i nuovi media, come se essa servisse di monito contro qualcuno o qualcosa.
I luoghi educativi tradizionali, contro una simile spirale, possono poco o niente.
La famiglia, la scuola, la parrocchia sono, spesso, impotenti ed esse stesse subiscono, talora, fenomeni di violenza davvero spiacevoli.
È il caso del parroco di Pistoia, che è divenuto bersaglio delle invettive di un gruppo di estrema Destra per l’assistenza, che egli offre, in modo liberale, agli extracomunitari.
Per non parlare della moltiplicazione di fenomeni di violenza, che vengono compiuti contro le donne all’interno del nucleo familiare o, fra giovani, nei luoghi di divertimento e di socializzazione.
Negli anni Settanta del secolo scorso, il nostro Paese ha conosciuto la violenza ideologica, quella dei gruppi fascisti e comunisti, che hanno colpito, anche, i vertici dello Stato, come nel caso del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro.
Oggi, quel tipo di violenza non esiste più, nella misura in cui non esistono più le grandi ideologie del Novecento, ma esiste una fenomenologia di violenza ben più pericolosa e strisciante.
È la violenza, che si compie in piccoli atti, ma può consumarsi in gesti clamorosi: d’altronde, la violenza contro gli extracomunitari, o contro gli Italiani che li ospitano e li aiutano, nasconde un seme ideologico che non può non evidenziarsi, finanche, nell’armamentario e nelle simbologie che vengono adoperate, che vanno dalle croci celtiche alle svastiche.
Cosa fare, allora, per arrestare una siffatta spirale?
La tecnologia, purtroppo, per un diabolico meccanismo psicologico che induce all’emulazione, moltiplica i casi violenti, che hanno origine, appunto, dalla volontà di reiterazione di gesti commessi da altri.
Peraltro, il conflitto sociale, che sembra sopito nelle sue forme democratiche, si compie oggi, anche, attraverso atti violenti, che non hanno la valenza propagandistica di quelli degli anni bui del terrorismo, ma nascondono una medesima radice culturale.
Chi ha responsabilità istituzionali, può e deve inviare messaggi di pace e di conciliazione a qualsiasi livello possibile, nell’auspicio che, per tal via, almeno possa non peggiorare - ulteriormente - la condizione di un consesso sociale, che si costruisce intorno a pochissime verità e che, invece, coltiva e riproduce inutili e pericolosissimi feticci.
Si riuscirà, un giorno, ad eradicare la cattiva pianta della violenza o si rimarrà vittima della stessa in modo sempre più pervicace?
Forse, solo il talento di moltissimi adolescenti odierni – che, un domani, diventeranno uomini maturi e di valore – può essere il migliore freno alla violenza dei mediocri?
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