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Rosario Pesce
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Quello siciliano è, di certo, un test molto importante, visto che va al voto una delle più significative regioni del Sud, oltreché del Paese intero.
In caso di vittoria del Centro-Destra ovvero dei Grillini, è chiaro che Renzi sarebbe tenuto a molte spiegazioni, dal momento che il suo candidato rischia, sondaggi alla mano, di non essere neanche il terzo.
D’altronde, si sa bene che la Sicilia è, sempre stata, uno dei più importanti laboratori politici del nostro Paese, perché molte tendenze, nate nell’isola più grande, si sono poi sviluppate nelle altre aree, come accadde con Forza Italia, che nel 1994 ottenne lì il pienone dei voti e, con quel consenso, poi governò l’Italia.
Peraltro, il sistema elettorale siciliano non prevede premi di maggioranza, per cui, in particolare in caso di successo del candidato di Berlusconi, sarà interessante capire come questi potrà governare.
È ovvio che un’eventuale alleanza, dopo il voto, fra lo schieramento berlusconiano e quello renziano sarebbe un segnale molto forte in vista del voto del prossimo mese di marzo, perché costituirebbe la plastica dimostrazione che esiste un accordo fra il Cavaliere ed il PD, che va ben oltre i limiti temporali dell’attuale legislatura.
Inoltre, non si può dimenticare che la Sicilia è uno di quei territori dove la presenza di una Sinistra molto autorevole e forte può determinare un’ulteriore tracimazione di consenso ai danni del PD, che rischia, per davvero, di mettere a segno il peggiore esito della sua storia elettorale.
Cosa potrà, allora, succedere dopo il voto di domenica?
I maggiorenti del PD spiegheranno a Renzi, forse, che il suo tempo storico è finito e che, per evitare di ottenere un pessimo risultato al voto del prossimo mese di marzo, è cosa opportuna che si faccia da parte definitivamente?
Non crediamo, invero, che i vari Orlando, Franceschini, lo stesso Gentiloni abbiano un simile coraggio, per cui ipotizziamo che, pure a fronte di un clamoroso insuccesso in Sicilia, la posizione di Renzi sarebbe, comunque, ancora salda e che gli eventuali cambiamenti di fronte saranno possibili solo quando sarà troppo tardi, cioè all’indomani del voto parlamentare della primavera del 2018, allorquando sarà difficile mettere mano al disastro cagionato per le colpe di molti.
Forse, il nostro è solo uno scenario apocalittico, ma certo, se fossimo al posto di Renzi, cominceremmo a prendere sul serio l’ipotesi di fare un passo indietro, per il bene proprio e per quello del partito, a capo del quale si è stati nel corso degli ultimi quattro anni, con esiti, a volte, davvero mortificanti per il PD stesso e per la storia di milioni di uomini e donne, che esso condensa.
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