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Rosario Pesce
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È evidente che, non solo nel nostro Paese ma in tutta Europa, è necessario che inizi a spirare il vento della moderazione, perché altrimenti gli estremismi rischiano di prendere il sopravvento ed, ovviamente, questa non è un’ipotesi auspicabile per un intero continente che si trova in un delicato momento sia economico, che istituzionale.
L’omicidio del Sindaco di Danzica è un campanello di allarme per nulla trascurabile: quando la violenza raggiunge un culmine così alto, è pleonastico sottolineare che è stato superato qualsiasi limite.
Peraltro, l’antitesi fra sovranismo ed europeismo non solo domina il dibattito pubblico, ma può divenire il vero discrimine fra una visione dello scontro politico che si tiene nell’ambito delle leggi e dello Stato di diritto ed una visione, invece, della politica che va oltre ogni plausibile soglia di accettabilità per chi crede nel primato delle leggi e della legalità costituzionale.
È ovvio che l’esito delle elezioni della prossima primavera ci dirà molto intorno al futuro possibile dell’Europa: un eventuale successo del sovranismo e delle sue istanze sarebbe un colpo deleterio per chi, finora, ha creduto e, tuttora, reputa che la nascita ed il rafforzamento della comunità europea rappresenta la precondizione necessaria non solo per lo sviluppo economico, ma anche per il rafforzamento ed il consolidamento delle istituzioni democratiche.
È in gioco, quindi, una partita importante per i destini delle generazioni presenti e future, anche perché finora il sovranismo ha dato espressione ad un disagio sociale forte, ma non è stato in grado di risolverne, alla radice, le cause che generano le problematiche, da cui nasce una volontà molto netta di contrapposizione allo status quo.
In tal senso, la politica sovranista ha dato ridondanza a siffatto disagio, che esiste - ormai - da qualche anno nella società mondiale, ma ha dimostrato di non possedere gli strumenti per giungere alla soluzione delle aporie, che hanno cagionato l’esplosione di tale insoddisfazione, acuendo maggiormente un’insofferenza che, invece, deve essere compresa e risolta dalle fondamenta.
Forse, siamo di fronte ad un nuovo manicheismo, come all’indomani della Seconda Guerra Mondiale?
Non più il Comunismo contro l’Anti-Comunismo, ma una sensibilità democratica, legata alla cultura del Novecento e del Positivismo giuridico, contro una non meglio precisata volontà di rottura di schemi istituzionali, il cui esito ultimo è sconosciuto agli stessi assertori della stessa.
È chiaro che, come nel caso richiamato, l’antitesi fra due visioni del mondo così nettamente distinte fra di loro è destinata a durare a lungo ed a segnare molti momenti del dibattito futuro, con l’auspicio che una simile contrapposizione rimanga nei limiti del diritto, perché qualsiasi eventuale uscita dal solco dello Stato di diritto sarebbe una sconfitta per tutti, europeisti e sovranisti stessi.
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