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Rosario Pesce
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Le paure di Renzi, nel corso dell’ultima settimana, sono certamente aumentate.
Due fatti importanti non possono che inquietarlo: tutti i sondaggi, finora pubblicati, denunciano una tendenza progressiva in favore del NO, per cui, quanto più ci si avvicina all’appuntamento del 4 dicembre, tanto più numerosi sono gli Italiani, che sciolgono i loro dubbi in favore dell’opzione non gradita al Premier.
Ma, certamente, l’altro fatto, che non può non inquietarlo, è l’elezione di Trump alla Presidenza degli Usa, che dimostra come, in tutto il mondo, ormai esiste una dinamica che porta i poteri politici uscenti ad essere defenestrati e ad essere sostituiti da opzioni culturali radicalmente diverse da quelle degli ultimi anni.
In tale contesto, se ingenuo fu il Primo Ministro britannico, che legò la sua permanenza ai vertici del Governo di Sua Maestà all’esito del referendum sul Brexit, ancora più ingenuo deve apparire il Presidente del Consiglio italiano, che ha fatto analogo errore, nonostante l’esempio, appunto, fornito dal suo omologo oltre-Manica.
Perciò, il buon Renzi, forse, più che in altri momenti della cronaca recente, ha intuito il grave rischio cui si è esposto, che potrebbe portarlo a terminare anzitempo la sua esperienza a Palazzo Chigi.
Pertanto, egli non solo non si è fermato nella campagna elettorale, ma, finanche in contrasto con i suggerimenti del Capo dello Stato, ha intensificato notevolmente il suo ritmo di lavoro giornaliero, per cui ogni incontro con le categorie professionali diventa un’utile occasione di propaganda per il Sì.
È un atteggiamento, questo, che pagherà?
Crediamo, invero, che egli si sia pentito di aver personalizzato eccessivamente la campagna referendaria, ma ora non può più fare retromarcia.
Anche l’accordo stipulato con una parte della minoranza interna, volto ad ottenere il sostegno per il Sì in cambio della riforma della legge elettorale, non sembra per nulla sufficiente per portare consenso alle tesi renziane.
Ormai, la dinamica internazionale rischia di divenire più forte di quella nazionale, per cui crediamo, invero, che il quesito referendario possa divenire il momento del “redde rationem” per il Governo in carica.
Riuscirà a tenersi in piedi o il 5 dicembre il Premier dovrà salire al Colle per rassegnare le dimissioni?
Chi scrive, ritiene che un cambio di marcia, dopo il 4 dicembre, debba comunque realizzarsi, anche indipendentemente dagli esiti referendari.
Forse, in caso di vittoria del NO, in particolare, si andrà verso una nuova compagine di Governo?
O, forse, si darà la possibilità agli Italiani di pronunciarsi, sciogliendo anzitempo le Camere?
Comunque vada, il futuro prossimo di Renzi presenta più dubbi, che certezze.
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