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Rosario Pesce
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È evidente che gli esiti delle elezioni dello scorso 4 marzo diano centralità, paradossalmente, alla forza che più di altre ha subìto il giudizio negativo degli elettori: il PD.
Infatti, se è vero che quel partito è giunto al minimo storico e se è vero che il M5S ha quasi preso il doppio dei voti della formazione di Renzi, è anche evidente che i Grillini non sono in grado di fare il Governo da soli, perché manca loro un centinaio di deputati, esattamente quanti ne ha lo stesso PD.
Se fossimo in un Paese “normale”, lontano dalle dinamiche perverse delle opposte tifoserie, essendo la nostra una democrazia parlamentare, all’indomani del voto di domenica i due partiti avrebbero già iniziato, alla luce del sole, le trattative per trovare un accordo e dare, così, un Esecutivo alla nazione.
Ma, le ruggini della campagna elettorale permangono, per cui i gruppi dirigenti dei due partiti sono, ancora, molto distanti fra di loro.
Le vie d’uscita, d’altronde, non sono molte.
O si giunge ad un accordo fra il primo ed il secondo partito italiano o si può aprire una fase molto lunga di indeterminazione, che certamente non farebbe bene al Paese.
Se si riuscirà a mettere da parte gli antagonismi degli ultimi cinque anni, è chiaro che si potrebbe lavorare molto più serenamente alla condivisione di un programma minimo, che – almeno in parte – venga incontro anche alle aspettative degli Italiani che si sono espresse attraverso il voto.
È evidente che una simile stagione politica, all’insegna del rinnovamento e di nuove alleanze, può nascere solo se il PD saprà mettere alle spalle Renzi ed il renzismo, che sono un obiettivo ostacolo per un rinnovato percorso della politica.
Ed è naturale che ciò non può accadere nell’arco di pochi giorni o di qualche settimana, ma tutte le forze hanno il dovere di rinnovarsi al loro interno e di facilitare, così, il compito del nostro Presidente della Repubblica, che si trova a gestire una delle più difficili crisi della storia repubblicana.
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