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Un partito diviso

venerdì, 16 gennaio 2015 18:59

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Rosario Pesce
Quella, che emerge dai lavori odierni della Direzione Nazionale, è l’immagine di un PD profondamente diviso al suo interno: da una parte, i renziani non sono affatto disposti a votare per il prossimo Presidente della Repubblica, in assenza del placet di Berlusconi; dall’altra, la minoranza chiede, invece, di andare ben oltre il Nazareno, allargando anche ad altre forze parlamentari l’accordo per l’individuazione del successore di Napolitano, facendo implicitamente riferimento al partito di Vendola e al M5S.
Evidentemente, sono due strategie entrambe legittime, ma rigorosamente alternative fra loro, perché molti comprendono bene che, se dovesse saltare l’intesa con Berlusconi sul nome del futuro Presidente, inevitabilmente questa fallirebbe su tutti gli altri temi, che sono oggetto della discussione politica odierna, dalla riforma della legge elettorale a quella della Costituzione, per cui non può sfuggire che l’eventuale elezione di un Capo dello Stato, fuori dallo schema renziano e berlusconiano, nel medio termine metterebbe in pericolo, finanche, l’esistenza stessa del Dicastero guidato dal Segretario del PD.
Pertanto, nella partita per il Quirinale, il buon Renzi si gioca sia la permanenza a Palazzo Chigi, che la guida del suo stesso partito, intuendo che il futuro potrebbe essere non dissimile da quello di Bersani, quando – nel 2013 – non riuscì ad imporre né Marini, né Prodi, nonostante il secondo – in particolare – fosse accreditato di un consenso molto più ampio di quello che, effettivamente, ricevette nel segreto dell’urna di Montecitorio.
Naturalmente, nessuno è in grado di intuire quale possa essere il futuro, nelle prossime settimane, della principale forza italiana, che – come dimostrano, anche, alcune vicende locali – vive il momento peggiore della sua storia recente, dato che mai è stata messa in crisi - così duramente - la sua unità.
È ovvio che nessun commentatore è in grado di prevedere il numero dei franchi tiratori, che si eserciteranno nell’impallinare il candidato renziano, qualora questi dovesse risultare viepiù indigesto a chi, soprattutto, non ha mai tollerato che l’asse della politica nazionale fosse segnato dallo sciagurato Patto del Nazareno, contratto nel gennaio del 2014.
Peraltro, un dubbio permane, ormai da due anni: i Grillini, pur tenendo numeri importanti nelle due Camere, continueranno ad avere un atteggiamento isolazionista, che non consente loro di essere decisivi negli equilibri delle istituzioni italiane?
Senza il sostegno dei Grillini, infatti, risulta impossibile procedere all’elezione del futuro inquilino del Quirinale in assenza dei voti di Forza Italia, inducendo a pagare - dunque - a Berlusconi un prezzo politico, forse, più alto della moneta di scambio, che egli è in grado di assicurare. Qual è, allora, l’alternativa?
Una soluzione meramente transitoria - quale quella del biennio di Napolitano, appena concluso - non è immaginabile, perché, vista l’entità dei problemi del Paese, è opportuno che il prossimo Capo di Stato goda di una prospettiva settennale di permanenza ai vertici della Repubblica, come da Costituzione vigente.
Dunque, chi sarà eletto nelle prossime settimane, dovrà assicurare una continuità di conduzione politica fino al 2022, perché il Quirinale è, oggi, l’istituzione maggiormente attenzionata sia dagli alleati europei, che dagli USA, essendo l’unica che può garantire la giusta ed appropriata visibilità internazionale all’Italia.
Pertanto, sarebbe opportuno che le divisioni, interne al PD, giungano ad una sintesi virtuosa, almeno in prossimità dell’imminente voto quirinalizio, perché, qualora il principale partito italiano si sciogliesse come neve al sole, nelle prossime intensissime giornate, un simile evento rappresenterebbe una sciagura non solo per i Democratici, ma per l’intero Paese, che guarda a questa formazione come la sola in grado, tuttora, di dare il necessario contributo al governo delle istituzioni repubblicane, in vista della soluzione di problematiche sempre più articolate e complesse.
Sarà il PD capace di fornire una siffatta prova di maturità?
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