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Rosario Pesce
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La tradizione storica e culturale di un Paese, certo, non può cambiare facilmente.
La nostra storia è intrisa di moltissimi fatti importanti, a partire dalla colonizzazione greca alla nascita dell’Impero Romano, dalle lotte medievali fra Impero e Papato fino all’epoca moderna ed alla presenza di significativi Stati europei sul suolo italiano.
In tale contesto, è ineluttabile che un Paese, come il nostro, che ha conseguito l’Unità nazionale molto in ritardo rispetto agli altri, non può non vivere una condizione di sofferenza istituzionale, visto che molti processi meritano una dovuta ed opportuna sedimentazione.
L’Italia passa per essere un Paese di tradizione moderata, visto che grandi sconvolgimenti non vi si sono mai prodotti, se non per induzione esterna: invero, nella nostra storia nessun evento è paragonabile alla Rivoluzione Francese o a quella Inglese o a quella Americana.
Ma, è altrettanto vero che la nostra storia è attraversata da un sottile fil rouge, che costituisce un elemento di continuità tra mille cambiamenti: la contrapposizione continua e dannosa fra gruppi, secondo lo schema dell’antitesi fra Guelfi e Ghibellini, che si produsse nei Comuni del Trecento, secondo una logica faziosa che non sempre ha fatto bene.
Esiste, cioè, il seme della divisione, che in modo pervasivo coinvolge la società.
È ovvio che, se il confronto è un fattore molto positivo di crescita, la divisione in modo pregiudiziale in sette e fazioni, invece, non lo è perché segna la riproduzione di lotte intestine che sono l’immagine più fedele di interessi di parte, che non riescono a comporsi in un interesse più generale ed ampio.
Perché, allora, tanta propensione verso uno spirito di divisione e di fazione?
Forse, non sono presenti, nella nostra storia, fattori che possono essere identitari per un’intera comunità nazionale?
Certo è che una nazione, divisa al suo interno da divisioni molto profonde, non riuscirà mai a fare lo scatto che le consentirebbe di crescere per davvero ed, in particolare, in questo primo scorcio di nuovo millennio il nostro Paese avrebbe bisogno di valori e di figure che coinvolgano e non certo di elementi di divisione e di discrimine.
Solo se questo scatto in avanti sarà compiuto, si potrà essere maturi e competere per le sfide imposte dalla globalizzazione.
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