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Il valore sociale della politica

domenica, 29 maggio 2016 21:28

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Rosario Pesce
La politica odierna è, ormai, lontana dalle istanze del corpo sociale. Questo è un dato di fatto, che è sempre più avvertito in modo forte da parte dei cittadini, che non a caso si allontanano dalla gestione della cosa pubblica, rifluendo o in un dissenso manifesto - il voto crescente, ad esempio, per forze e partiti populisti - ovvero in una forma di dissenso strisciante, rappresentata dall'astensionismo.
Cosa fare di fronte, quindi, ad una società che partecipa sempre meno alle sorti della “Res publica”?
E ovvio che l'assenza dei corpi intermedi, oltre ai partiti, non aiuta invero lo sviluppo democratico di una società, che è un corpo chiuso in sé stesso, in grado di soffrire di un autismo diffuso, che fa molto male, in quanto contribuisce a creare un livello di contenzioso, davvero, inquietante e pericoloso per l'intero consesso.
Peraltro, non migliora la situazione odierna in virtù di un fatto fondamentale: l'esplosione della crisi economica, di per sé, non agevola la creazione di un'armonia sociale, che da sola potrebbe garantire, anche, il successo della politica e degli uomini, che agiscono all'interno della mera dimensione istituzionale.
Negli ultimi anni, molti movimenti hanno tentato di interpretare un siffatto disagio, ma nessuno è stato in grado di catalizzare il consenso della maggioranza degli Italiani, i quali – nonostante tutto – si identificano, per lo più, sempre nei partiti filogovernativi, testimoniando così una scarsa propensione ai cambiamenti radicali, che si sono prodotti, nel corso della storia del nostro Paese, solo per effetto dell’intervento di potenze straniere, come avvenne ai tempi del Risorgimento, con i Francesi e gli Inglesi, e della Liberazione con gli Alleati.
Dal momento che, invece in questo scorcio iniziale di XXI secolo, l’Europa sostiene i tentativi riformatori dei vari Governi, che si sono succeduti a partire dal crollo della Prima Repubblica, è ineluttabile ipotizzare che mai si andrà incontro ad un rovesciamento dei paradigmi istituzionali, che si conoscono da diversi decenni, per cui quelle forze, come il M5S, che si fanno portatori di un’idea diversa di rapporto fra cittadini ed istituzioni, appaiono condannate ad avere, per moltissimo tempo ancora, un ruolo meramente minoritario e, quindi, scarsamente incisivo sul presente ed, almeno, sull’immediato futuro.
Peraltro, gli Italiani, sempre per effetto del loro moderatismo atavico, preferiscono riconoscersi in chi, pur portando un messaggio di rottura, è comunque araldo di una moderazione, almeno, apparente: fu il caso di Berlusconi, che – pur presentandosi in discontinuità con la classe dirigente precedente – certo non ha mai generato particolari inquietudini o timori, interpretando benissimo la parte dell’imprenditore che ha realizzato enormi profitti e, quindi, innalzandosi a moderno salvatore della Patria, distrutta dalle degenerazioni della partitocrazia.
Pertanto, crediamo che, in virtù di una simile tradizione, comunque vadano le prossime elezioni amministrative di giugno, i partiti di Governo – includendo fra questi, anche, Forza Italia che formalmente è in minoranza – si agiteranno, tutti insieme, in vista del voto politico del 2018, quando invero la scommessa da vincere sarà assai più rilevante, determinando una vera e propria spaccatura del Paese in due fronti, rispettivamente quello della governabilità e quello della protesta, talora, fine a se stessa.
In tal senso, la politica tornerà ad avere come suo preponderante, se non unico, fine la gestione del potere, a cui però – inevitabilmente – bisognerà dare un valore sociale di rinascita e di palingenesi, a meno che non si voglia ristagnare, poi, di nuovo nel medesimo clima di questi ultimi decenni, contrassegnati dall’incertezza e dalla perenne precarietà dei riferimenti istituzionali, a volte malsicuri ed assai impopolari.
Riuscirà, quindi, l’Italia ad uscire da un simile vicolo cieco ovvero la pratica machiavellica del potere, scevra da un fine intrinsecamente morale, finirà per lasciare tutto, tragicamente, invariato?
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