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Rosario Pesce
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Come possono decine e decine di giovani assistere inermi alla violenza contro un loro coetaneo in un luogo di divertimento, qual è una discoteca?
Come può un fratello, in assenza di una psicopatologia conclamata, uccidere la sorella per soldi e poi fare strazio della sua salma, disseminando le varie parti del corpo della stessa in diversi cassonetti dei rifiuti della propria città?
Sono, questi, due episodi della recente cronaca nera, che dimostrano come la violenza sia uno dei dati strutturali della nostra società, che niente e nessuno riescono ad eradicare in modo compiuto.
Nonostante la cultura, il ruolo della Scuola e della famiglia, nonostante un’attenzione ossessiva su tali fenomeni da parte dei media, il livello di violenza cresce sempre più nella società, a dimostrazione del fatto che qualcosa, per davvero, non funziona nel modo giusto.
Tutti i deboli sono oggetto, in maniera sistematica, di un’attenzione morbosa, che può sfociare in atteggiamenti deprecabili: quel giovane italiano, trucidato nella discoteca spagnola dai tre aggressori dell’Est, rappresenta l’esempio più tipico di una tale verità.
Eppure, in quel caso, la forma più “violenta” di agire non è stata quella dei killer ceceni, ma quella dei presenti, che – in taluni casi – sono stati inermi, addirittura in altri sono rimasti a filmare le scene del pestaggio, non muovendo un dito, affinché venissero bloccati coloro che stavano togliendo la vita ad un loro coetaneo, molto probabilmente per un movente, invero, insignificante.
Neanche, quindi, l’istintivo meccanismo di solidarietà fra simili è scattato per evitare la morte del ventenne italiano, destinato ad essere sacrificato sull’altare della morte in diretta.
In cosa abbiamo sbagliato, tutti noi, perché si creasse un simile mostro?
Eppure, le agenzie educative svolgono il proprio mestiere e danno il loro contributo alla formazione dei giovani, ciascuna secondo le proprie possibilità e gli strumenti a disposizione.
Forse, si è esaltato, fuor di ogni misura, il ruolo del danaro, per cui è venuto meno, negli adolescenti, il senso di “pietas”, che avrebbe dovuto togliere quel giovane dalle mani di tre omicidi prima che fosse troppo tardi?
Forse, il cinema, la tv, i social diffondono, finanche in modo subliminale, dei messaggi di violenza, che poi vengono così interpretati e resi “materia” ad opera di chi cresce con sempre minori certezze di ordine etico?
O, forse, la nostra società non è diversamente violenta da quelle precedenti, ma semplicemente il ruolo dei media amplifica quello che sarebbe avvenuto, comunque, in qualsiasi altro momento storico dello sviluppo dell’umanità?
Diversi intellettuali, scrivendo su questo tema, hanno fornito le loro possibili risposte, che però sanno di spiegazioni “pontificatorie” ex-cathedra e, quindi, come tali descrivono un fenomeno, ma forse non aiutano a comprenderlo a pieno.
A noi piace, questa volta, per davvero non lasciare risposte, ma stimolare l’attenzione del lettore intorno a dei quesiti, che sono forieri di un sentimento di inquietudine, che ciascuno di noi può, invero, risolvere solo a partire dalla propria sensibilità e dalle proprie categorie morali, ben sapendo che esiste una soglia dell’indicibile oltre la quale, a volte, non è lecito, né opportuno andare.
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