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Rosario Pesce
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I populismi sono il tratto caratterizzante di una stagione politica nella quale le certezze, istituzionali e partitiche, sono sempre di meno.
La fine del Novecento, con il crollo delle ideologie e la vittoria del capitalismo ai danni del Fascismo e del Socialismo reale, ha determinato un sentimento di repulsione dei cittadini verso le istituzioni.
Peraltro, un tale atteggiamento appare talora finanche comprensibile, pur se non giustificabile.
Se infatti prima a fronte di un errore del ceto politico interveniva l’adesione ideologica a giustificare il comportamento sbagliato, ora – caduta questa – è chiaro che la politica non ha più alcun alibi.
E, quindi, i partiti si sono trasformati in meri comitati elettorali e le istituzioni subiscono le conseguenze di un eccesso di fluidità delle maggioranze politiche.
Destra e Sinistra non esistono più, per cui il voto viene espresso, per lo più, in favore di un individuo piuttosto che di una piattaforma ideale, che diviene spesso evanescente, se non del tutto assente.
È, quindi, la forza del capitalismo che decide le sorti degli Stati, peraltro un capitalismo finanziario che non ha espressione fisica.
Ed i cittadini cosa fanno?
O non votano più o, se vanno al seggio, lo fanno con sentimenti di avversione nei confronti di chi governa, perché ovviamente la politica non ha più la forza per soddisfare i bisogni materiali delle persone.
E, quindi, dall’antipolitica al populismo il passo è breve.
Masse di individui, spesso, finiscono per aderire a proposte che non sono la terapia idonea rispetto ai mali dell’epoca, ma hanno l’unico pregio di amplificare i mal di pancia di chi o non ha un posto di lavoro o non vede prospettive per la propria pensione o ha i figli disoccupati o è portatore, comunque, di istanze cui lo Stato non è in grado di fornire una pronta ed immediata risposta in termini concreti.
Ed, allora, la politica che fine farà?
La democrazia è, forse, giunta al suo tramonto?
La partecipazione diviene - quando viene organizzata dai populisti - segno del male e non catarsi dello stesso?
Forse, sarà necessaria una Terza Guerra Mondiale per riprendersi la democrazia e divenirne, effettivamente, protagonisti?
Certo è che il XXI secolo propone degli interrogativi inquietanti, anche perché i gulag ed i lager del Novecento non sono mai scomparsi dall’orizzonte culturale di chi agisce, in modo sistematico, contro i migliori valori del liberalismo che hanno informato l’età contemporanea.
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