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Un diario napoletano

domenica, 10 aprile 2016 16:34

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Maschio Angioino, l'antico Castrum napoletano, è uno dei monumenti-simbolo più rappresentativi della città di Napoli
Rosario Pesce
Napoli, al tempo stesso, è la città italiana più amata ed odiata.
Infatti, i triti e ritriti luoghi comuni sulla sua storia e sul suo presente la rendono particolarmente gradevole a chi la ama, finanche oltre ragionevole limite razionale, e la rendono invece, fortemente e parossisticamente, invisa a chi, per motivi per nulla razionali, è pronto a metterne in evidenza gli aspetti negativi, che essa ineluttabilmente condivide con tutte le altre grandi città d’Italia e del mondo.
Passeggiare per Napoli è, perciò, il più importante esercizio della mente umana contro tali pregiudizi, sia che essi dovessero essere, oltremodo, generosi verso il capoluogo partenopeo, sia che invece, molto più frequentemente, dovessero essere ingrati ed ingenerosi nei riguardi di un centro cittadino, che ha un ruolo fondamentale nella storia del nostro Paese e dell’Europa intera.
Si dirà che Napoli è bella e splendente per il centro storico, per le numerosissime Chiese, che ospita, per la bontà dei cibi, che vi si somministrano, per la ben nota capacità di accoglienza dei suoi cittadini, per gli spazi, ancora incontaminati, che essa pure conserva all’interno di un’area nella quale vivono centinaia di migliaia di abitanti, a volte costipati gli uni sugli altri.
Statua marmorea di Federico II di Svevia, posta all'ingresso del palazzo Reale di Napoli
Ma, tutti questi giudizi non rendono, compiutamente, giustizia alla bellezza napoletana, così come fortemente inconcludenti ed incompiuti sono, per altro verso, quei giudizi negativi, tipici in particolare di certa stampa del Nord e dei cori da stadio, che descrivono Napoli unicamente come la capitale del malaffare, della grande criminalità organizzata e della corruzione diffusa.
In entrambi i casi, infatti, si dice solo una parte - molto piccola - della verità, visto che la bellezza di Napoli va ben oltre la mera dimensione oleografica, che pure viene sistematicamente realizzata intorno al capoluogo campano.
Molte altre sono, invero, le città che serbano, nel loro ventre, monumenti, chiese ed altri luoghi artistici; eppure, il fascino di Napoli è unico rispetto a questi altri vitali centri della vita nazionale, da Firenze a Venezia, da Roma a Palermo.
Perché?
Molto probabilmente, la risposta è semplice: altrove, la bellezza è “musealizzata”, per cui ogni valore artistico è come confezionato, messo in una teca e proposto, a mero uso commerciale, alla domanda del turista, che passeggia a scopo, unicamente, ludico fra tali beni.
A Napoli, invece, finanche le bellezze più ridondanti e con maggiore storia alle loro spalle non sono mai meramente musealizzate, per cui sono sempre parte integrante di un tessuto palpitante e di un vissuto molto forte, che fanno sì che, anche, i monumenti più antichi e celebri non siano mere pagine di un passato trascorso, ma siano il dato essenziale di un presente in continuo farsi.
L’ossimoro di miseria e nobiltà, peraltro reso celebre attraverso il testo di un’opera fondamentale della storia letteraria e teatrale partenopea, bene sintetizza il livello di sincretismo culturale, che si nasconde nelle viscere della capitale del Sud d’Italia.
Duomo di Santa Maria Assunta, una delle principali chiese napoletane
Tale contaminazione di situazioni, persone, condizioni storiche e psicologiche fa sì che il passato, appunto, non sia mai, da queste parti, un dato acquisito una volta e per sempre e che il presente sia una condizione permanente di chi vive - con fatalismo, ma non con rassegnazione - lo status quo, non sempre fatto delle pur necessarie e giuste gratificazioni sul piano economico, professionale e morale.
La Napoli, vista negli ultimi periodi ed - in particolare - ieri sera, è una città sempre più ospitale verso lo straniero, forse anche perché il turismo europeo è, nettamente, superiore a quello italiano: voci di cittadini francesi, inglesi, tedeschi scandiscono un presente, che è pure il risultato delle dominazioni dei loro progenitori nelle nostre terre, quando Napoli non solo era la capitale morale del Sud d’Italia, ma era quella, economica e politica, dell’intera Europa del Mediterraneo.
Oggi, quelle voci, che si possono ascoltare per strada, nelle pizzerie o nei bar rinomati del centro storico del capoluogo campano, costituiscono un trait d’union con il passato della città e dell’intero continente, perché disegnano uno scenario irenico, all’interno del quale si può, ancora, vivere con relativa tranquillità, mentre altrove – il caso francese e quello belga sono, tragicamente, più che evidenti – la vita serena è solo un miraggio, visto che si deve convivere con paure ancestrali, che il terrorismo islamista ha rinfocolato viepiù.
Napoli, fortunatamente, è fuori – almeno da quello che sappiamo – da queste logiche perverse del terrore, forse perché meglio di molte altre realtà europee è stata capace, a modo suo, di realizzare una compiuta integrazione fra cristiani e non-cristiani, fra bianchi e neri, sin dalla Seconda Guerra Mondiale, quando iniziò ad ospitare, subito dopo la sua conclusione, comunità intere di persone di colore, che divennero essenziale parte integrante del tessuto civile, nonostante questo fosse, ampiamente, logorato dalle miserie del Fascismo e degli anni durissimi del conflitto.
La capitale dei Borbone, con il suo splendore, non tornerà più, ma certo è che, a Napoli, si stanno ponendo le premesse per un nuovo Rinascimento: fuor di retorica, un Rinascimento, che nasce non solo dall’esplosione delle arti, che mai sono state sopite da queste parti, ma da una nuova consapevolezza, che avrà origine compiutamente, quando gli Italiani si accorgeranno, finalmente, che obiettivi di convivenza ed integrazione, che altrove sono solo un lontanissimo miraggio, a Napoli sono stati realizzati dall’umanità locale per via istintiva, in verità pre-razionale, ma sicuramente assai efficace ed utile.
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