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Rosario Pesce
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È appena finito il campionato, ma il calcio non va mai in ferie.
Infatti, quest’estate si celebreranno i Campionati Europei che sono stati rinviati lo scorso anno a causa dell’emergenza Covid.
Ma, al di là del torneo europeo per Nazionali, il calcio non va in ferie perché, appena concluso il campionato, si pensa immediatamente a progettare la stagione futura, per cui i club devono scegliere gli allenatori ed i calciatori su cui vogliono fondare gli assetti tecnici dell’annata successiva.
L’Italia si distingue, però, dagli altri Paesi: se altrove - infatti - ad attirare le attenzioni degli sportivi è il mercato dei calciatori (che sono, pur sempre, i principali protagonisti perché sono loro a scendere in campo), nel nostro Paese prevale l’interesse verso quello degli allenatori, che possono avere maggiore o minore appeal mediatico e che, certamente, hanno un peso qualificante nelle scelte tecniche dei loro club.
È questo il segnale di un calcio – il nostro – invero meno ricco di quello spagnolo e di quello inglese: non potendo le società italiane permettersi i lauti compensi, che possono invece erogare le squadre d’oltralpe, è evidente che ci si affida a questo o a quell’allenatore, nella speranza che possa rappresentare quel “quid” in più, a compensazione delle campagne acquisti faraoniche, che non è possibile più condurre.
Ed, allora, è chiaro che se il calcio italiano deve affrontare il nodo delle spese, che non sono più sostenibili, può e deve realizzare con sagacia un simile sforzo per garantire che, nei prossimi decenni, le nostre squadre possano ancora essere competitive sullo scenario continentale con i club di Spagna ed Inghilterra, che hanno maggiori proventi dalle televisioni.
Certo, i tentativi di riforma dei format dei campionati nazionali e di quelli dell’UEFA devono essere compatibili con le leggi vigenti, per evitare le fughe in avanti che il tentativo fallito di dar vita alla Superlega ha rappresentato in modo plastico nelle scorse settimane.
D’altronde, il tifoso aspira a divertirsi in modo sano ed a tornare allo stadio prima possibile, compatibilmente con la condizione epidemiologica: due obiettivi possibili e raggiungibili, se si lavora seriamente nell’ottica del salvataggio di un’industria, come quella calcistica, che deve rifondarsi dopo il Covid se non vuole scomparire, come altri settori produttivi dell’economia mondiale.
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