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Un mondo diverso

venerdì, 03 novembre 2017 17:08

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Rosario Pesce
Quello che stiamo costruendo è, di certo, un mondo diverso da quello che abbiamo ereditato dal secolo scorso.
Gli eventi spagnoli disegnano uno scenario, di cui vi era già contezza: in particolare, essi segnano la fine degli Stati nazionali, almeno nella versione in cui li abbiamo conosciuti in età moderna.
È il frutto, tutto ciò, della globalizzazione, che ha annichilito la politica ed il primato, che questa aveva rispetto al capitalismo mondiale in alcuni momenti storici del Novecento, in particolare.
Non solo è crollato il concetto di Stato-nazione ed il corrispettivo primato del potere politico rispetto a tutti gli altri, ma sta venendo sempre più meno l’idea di comunità, che sia appunto quella segnata dal sentimento della nazione o, finanche, quella definita per patrie più piccole e “leggere”.
Al centro della cultura del secolo scorso, vi era il concetto di “heimat”, cioè di “terra e sangue”, quelli appunto cari ai nostri avi, che per difendere un pezzo di terra hanno versato molto sangue ed hanno speso moltissime delle loro energie.
Oggi, la terra, almeno quella dell’heimat, non è più un valore: siamo tutti apolidi, cittadini di un mondo che è, al tempo stesso, un’astrazione concettuale ed una pia aspirazione di chi pensa, tuttora, di poter organizzare la complessità entro un quadro di riferimento, idealmente e concettualmente, chiaro.
È evidente che, se la tendenza è questa, esistono delle forze conservatrici che cercano di opporsi alla logica delle cose e degli eventi.
Ad esempio, il nazionalismo di questi anni e la chiusura contro ogni forma di mutamento razziale delle nostre società rappresentano dei tentativi di opposizione, peraltro molto maldestri, contro la portata rivoluzionaria dei cambiamenti in atto: è evidente che le forze, che tentano di resistere a fatti di una simile portata, sono destinate ad essere rimosse e ad essere sconfitte in modo, per loro, penoso.
Qualcuno potrà obiettare che stiamo costruendo una società meno democratica di quelle, liberaldemocratiche e socialdemocratiche, che abbiamo conosciuto nella seconda parte del XX secolo.
È probabile che una simile affermazione sia vera, ma siamo sicuri che, oggi, gli uomini pongono la democrazia al vertice delle loro richieste e dei loro bisogni?
Sappiamo bene che, quando una fetta importante della popolazione mondiale o non lavora affatto o lavora in condizioni di schiavitù o viene sottopagata, la democrazia non diviene, certo, una delle principali aspirazioni umane, perché, come ci spiegò Vincenzo Cuoco per la rivoluzione partenopea, gli stomaci vengono molto prima dell’intelletto, finanche di quello più colto e raffinato.
Ed, oggi, l’umanità si ritrova un po’ nelle condizioni della Napoli del 1799, mutatis mutandis: da una parte, coloro che promettono libertà, progresso e diritti civili; dall’altra invece i sanfedisti, che elargiscono un po’ di grazia del vivere, negando le aspirazioni ed i sentimenti migliori dell’umanità.
In favore di chi cadrà la scelta della pubblica opinione?
Siamo, purtroppo, convinti che, ancora una volta, l’umanità sceglierà nella direzione sbagliata, per cui il rischio di un regresso rilevante dell’umanità non solo è possibile, ma è altamente probabile.
In tal senso, è opportuno che le coscienze più sagge ed avvedute possano vigilare e controllare, affinché non prevalga la moderna deriva sanfedista della barbarie e dell’inumanità, ma - certo - al peggio bisogna iniziare ad attrezzarsi.
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