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Rosario Pesce
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Il PD o rinasce o muore.
È, questa, un’affermazione dal contenuto così evidente e lapalissiano, che nessuno lo può negare.
È ovvio che, dapprima, il risultato del 4 marzo e, poi, i fatti delle ultime settimane impongono una seria riflessione, che deve spingere la classe dirigente di quel partito a decidere cosa fare per il futuro immediato e quello più lontano.
Le incertezze degli ultimi due mesi non possono non lasciare tracce importanti nella storia, seppur breve, del PD.
Tutti hanno compreso una verità elementare: mentre Martina ricercava, assecondando il Capo dello Stato, un accordo possibile con i Cinque Stelle per un Governo di scopo, il buon Renzi si è divertito a far saltare il tavolo, andando in tv da Fazio e dando un’esplicita indicazione in senso opposto.
È ovvio che una simile vicenda fa male, non solo perché testimonia l’esistenza di una forza profondamente divisa al suo interno, ma anche perché costituisce il segno dei tempi, è la prova di una prassi della politica che viola, finanche, il galateo istituzionale e la corretta dinamica intra-partitica.
Ma, il dubbio fondamentale è quello della leadership, che il voto dell’Assemblea Nazionale, di per sé, non può affatto diradare, perché chiunque sarà nominato Segretario dovrà dimostrare in primis a sé, poi all’intero Paese di non essere la mera maschera di Renzi.
E, questo, è il punto fondamentale della discussione: può esserci un PD oltre Renzi ed il renzismo, che hanno portato quel partito, dapprima, al 40% dei consensi delle elezioni europee della primavera 2014 e, poi, lo hanno affondato con il voto dello scorso 4 marzo?
Cosa ne sarà del PD è difficile prevederlo, visto che molte saranno le variabili che condizioneranno il futuro della politica italiana.
Ma, certo è che il rinnovamento deve essere un fatto sostanziale e non solo un mero flatus vocis.
In tal caso, ne va della storia stessa della Sinistra italiana e non solo della vita di un singolo partito.
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