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La carica dei centoquaranta

giovedì, 22 gennaio 2015 20:10

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Rosario Pesce
È evidente che, ormai, all’interno del PD ci siano due partiti e non solo altrettante correnti: infatti, i renziani, da una parte, ed i bersaniani, dall’altra, non hanno nulla in comune, se non la mera appartenenza, almeno temporanea, ad una medesima casa, che però – a breve – crediamo sarà abbandonata da una delle due parti in contenzioso.
Immaginare che il matrimonio fra renziani ed ex-ds possa continuare, per molto tempo ancora, è un’idea peregrina, anche perché il dibattito, negli ultimi giorni, è andato ben oltre il mero confine politico, arrivando a lambire aspetti, che vantano finanche una motivazione di natura personale.
Non è un caso se, a distanza di due anni, Fassina, che all’interno della minoranza è l’esponente di maggiore spessore culturale, ha rinfacciato a Renzi il fatto che la fronda anti-Prodi, alle scorse elezioni per il Quirinale, venne guidata proprio dall’attuale Premier, il quale si divertì ad impallinare Marini pubblicamente, mentre riservò un trattamento diverso al Prof. di Bologna, chiedendo ai parlamentari, vicini alle sue posizioni, di non votare per il fondatore dell’Ulivo e del PD, sapendo bene che, se non fosse stato eletto al Quirinale il candidato più autorevole, che il partito poteva esprimere, sarebbe crollata la leadership di Bersani e, dunque, lui stesso sarebbe tornato in gioco, come poi effettivamente è successo.
Quando il dibattito interno ad una forza parlamentare arriva a toccare questi toni, è inevitabile che non ci sono più le ragioni per un corretto stare insieme, perché l’episodio dei centouno del 2013 è servito alla componente diessina per ricordare a Renzi che, se questa volta, i centoquaranta di Bersani dovessero fare cosa analoga a quella delle truppe renziane, ciò non solo non sarebbe disdicevole, ma sarebbe addirittura auspicabile, perché risponderebbe ad un criterio di vendetta e ritorsione per il gesto vile, che venne formulato nel segreto dell’urna di Montecitorio nel mese di aprile del 2013.
Chiaramente, il futuro, di questo passo, non sembra affatto roseo: infatti, per quanto si possa ipotizzare che non mancheranno - di certo - i tentativi di mediazione ed, in particolare, le occasioni per tornare ad agire come dovrebbe fare un partito unito e coeso, è inevitabile che le scorie della legislatura in corso saranno difficilmente smaltibili, per cui, ad ogni agguato parlamentare, a cui andrà incontro il Governo, si potrà gridare che esso è il frutto dell’originario tradimento, consumato coscientemente dal Premier e dalla sua componente, quando era ancora minoranza nel partito, come nei gruppi di Montecitorio e Palazzo Madama.
Per tal strada, altresì appare facile pronosticare il consolidamento del Patto del Nazareno, perché, essendo in libera uscita la minoranza democratica, come - dalla parte opposta - quella fittiana, non si può non presagire un rapporto sempre più organico fra Renzi e Berlusconi, i quali sono - ormai - alleati molto più di quanto, negli anni scorsi, il PD e Forza Italia lo siano stati nel sostegno al Governo Monti e a quello Letta.
Una sola è, quindi, la domanda che consegue: una simile alleanza, così forte da indurre sia il Premier, che il Cavaliere a mettere in conto una dolorosa scissione nei rispettivi partiti, potrà sfociare nella nascita del nuovo soggetto del Partito della Nazione, derivante dalla fusione, appunto, delle correnti di maggioranza di Forza Italia e PD?
Infatti, sembra inverosimile che, alle prossime elezioni poitiche, Berlusconi e Renzi possano essere avversari, dopoché hanno condiviso un lungo percorso nel corso dell’odierna legislatura.
Peraltro, qualora corressero in forma separata, il PD in versione unicamente renziana e Forza Italia, privata della sua corrente fittiana e di molti altri dissidenti interni, rischierebbero seriamente di prendere meno consensi di Grillo o della Lega di Salvini, che possono crescere, speculando sui giusti malumori presenti nella società italiana, tutti di segno assolutamente contrario ad un’intesa così spuria e poco trasparente nelle più autentiche ragioni di fondo.
E, se nascesse il famigerato Partito della Nazione, potrebbe da solo contrapporsi con successo all’ondata di anti-politica, che spira molto forte nel Paese?
Certo è che snaturare, in modo così lapalissiano, l’identità di un partito rappresenta, per Renzi, un’operazione molto ardita e quasi spericolata, perché - vista la contestuale approvazione di una legge elettorale, che riconosce il premio di maggioranza ad un partito e non ad un’intera coalizione - il rischio che una forza anti-sistema possa fare l’exploit, alle prossime elezioni generali, non solo è possibile, ma ci appare concretamente percorribile.
Pertanto, Renzi, dopo aver spaccato il suo partito, espellendo di fatto la minoranza di Sinistra, dopo aver contratto un patto d’acciaio con il suo avversario storico, rischierebbe di consegnare l’Italia a Grillo o Salvini o, comunque, ad un personaggio di tale livello, condannando se stesso e la sua formazione partitica all'assoluta marginalità, dato che l’Italicum assegna un numero ridotto di seggi alle forze, che dovessero perdere.
Il buon Premier è troppo furbo o assai ingenuo ed avventato nei calcoli politici?
Ci pare che nessun leader abbia mai perseguito, con tanta pervicacia, il suicidio di sé e del suo partito, come sta facendo Renzi in queste ultime settimane: in particolare, il dettaglio della legge elettorale, afferente alle modalità di assegnazione del premio di maggioranza, è il fattore che può scatenare una vera e propria rivoluzione copernicana negli assetti di potere della Repubblica, visto che il Carroccio di Salvini ed il M5S non possono che essere avvantaggiati da un meccanismo che disincentiva le coalizioni e che regala la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari alla lista, che dovesse prendere un voto in più delle altre al primo turno o, eventualmente, al ballottaggio.
Suicidio politico? Presunzione? Insana e patologica visione dei rapporti di potere all’interno di una democrazia liberale?
Non sappiamo quale di questi sia il movente dell’agire renziano: qualunque sia la ragione profonda – politica o, anche, di diversa natura – che l’ispira, non abbiamo mai assistito ad uno spettacolo così avvilente, con protagonisti pronti a barattare la pelle del proprio vicino di scranno parlamentare in cambio di una prospettiva assai effimera di potere, che può aver vita per lo spazio temporale non più lungo di una notte.
Forse, non erano migliori i partiti della Prima Repubblica, che, nonostante i loro difetti, sapevano nascondere tutto con il velo dell’ideologia e l’idea – pur fallace – del possesso di una verità trascendente, che però - di per sé - giustificava i comportamenti machiavellici, finanche quelli più cinici e contrari alla morale comune?
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