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Rosario Pesce
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Quello fra il PD ed il MDP è un accordo non solo possibile, ma necessario.
È evidente, infatti, che in assenza di un compromesso fra le due principali forze del Centro-Sinistra si apre un’autostrada per Berlusconi, che – forte del risultato delle elezioni siciliane – potrà ambire al Governo nazionale e ad una rivincita, che sta tentando di costruire da diversi anni.
Ma, è ovvio che, per stipulare un accordo, è necessario che ambo le parti siano consenzienti e, qui, nascono i problemi.
In primis, il PD sembra intenzionato a non cedere sul tema della leadership, che è il primo banco di prova, visto che gli Italiani non comprenderebbero un sostegno a Renzi da parte di Bersani e D’Alema, quando, per quattro anni, essi lo hanno avversato molto aspramente.
Inoltre, gli accordi si consumano su di una comune base programmatica, che - ad oggi - è tutta da costruire, visto che, in particolare, sui temi del lavoro e delle politiche sociali le distanze sono abissali.
È, allora, ipotizzabile che l’accordo non venga fatto e che il Centro-Sinistra decida di consegnare il Paese a Berlusconi (o a Grillo), senza neanche tentare di giocare, per davvero, la partita?
Non possiamo, peraltro, dimenticare che la legge elettorale, che impone un voto congiunto fra il proporzionale ed il maggioritario, potrebbe creare un imprevisto premio di maggioranza e, quindi, mettere la prima forza (o coalizione) del Paese nelle condizioni di essere autosufficiente nella guida del Governo.
All’interno del PD sembra che qualcosa si stia muovendo, per cui gli appelli di Minniti, Orlando, Franceschini all’unità delle forze progressiste sono un fattore rincuorante, ma di per sé non sufficiente, visto che le elezioni sono, ormai, prossime ed il traguardo della stesura di un accordo possibile sembra lontanissimo.
È ovvio che Renzi, in tale contesto, non solo rischia di perdere la leadership dell’eventuale coalizione, ma in particolare mette in gioco la stessa Segreteria del PD, perché un eventuale esito disastroso delle elezioni della prossima primavera metterebbe in dubbio non solo il suo odierno incarico, ma sarebbe un fattore deflagrante per un partito che è, estremamente, vivace e dinamico nel dibattito interno, a volte fino ai limiti del masochismo.
Cosa fare, allora?
Si può solo attendere uno scatto di orgoglio da parte di chi, invece, rischia di consegnare il Paese, per il prossimo ventennio, al populismo grillino o a quello della Destra di Salvini, visto che lo stesso Berlusconi, per il suo dato anagrafico, oltreché per i problemi giudiziari, non può garantire un orizzonte di governabilità per il quinquennio che si apre subito dopo le elezioni del prossimo mese di marzo.
Sarà così masochista il PD da delegittimarsi fino a giungere a scrivere la pagina ultima della propria breve e conflittuale storia?
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