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lunedì, 05 gennaio 2015 17:16 |
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Rosario Pesce
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Il rapporto fra politica e media è, certamente, uno dei punti nodali per definire la qualità della democrazia odierna: infatti, sin dai tempi del Fascismo, a seguito dell’invenzione del cinematografo, il regime ha percepito l’importanza della comunicazione politica, che può essere efficace solo se si ha a disposizione la piena padronanza - tecnica ed economica - degli strumenti atti ad interloquire con la popolazione ed utili ad irradiare il messaggio, che si ritiene più opportuno trasmettere.
Con il passare degli anni, l’avanzamento tecnologico ha fatto sì che i mezzi di comunicazione fossero sempre più radicati e diffusi, per cui la politica inesorabilmente ne è diventata padrona, per coltivare così meglio il consenso.
Orbene, Berlusconi e Renzi rappresentano due personalità, che hanno saputo usare, in proprio favore, lo strumento tecnologico più importante della loro epoca, al fine di orientare la pubblica opinione: il primo con la tv, il secondo con i social network, hanno entrambi innovato radicalmente il linguaggio della comunicazione politica, di fatto creando i presupposti di un cambiamento molto forte del rapporto fra il cittadino e le istituzioni, a Costituzione invariata.
È sotto gli occhi di tutti il fatto che abbiano, sempre, ricercato un rapporto diretto con i propri elettori, non mediato da strutture di partito o da altri corpi sociali intermedi: tale immediatezza di relazione non può che realizzarsi ricorrendo alla tecnologia.
Berlusconi è stato un maestro nell’uso delle telecamere: peraltro, essendo lui un imprenditore del settore, non poteva che fare della televisione il principale strumento di propaganda, in un momento storico nel quale i suoi avversari, invece, appartenevano ad un’altra generazione, cioè a quella degli statisti ed uomini di partito, che conoscevano gli studi televisivi solo perché li frequentavano per partecipare alla Tribuna Elettorale.
Il Cavaliere ha saputo trasformare in momento di propaganda e raccolta del consenso qualsiasi suo passaggio dinnanzi alle telecamere, per cui ha creato un rapporto con l’elettore che, di fatto, è divenuto quotidiano, venendo meno la differenza tradizionale fra vita pubblica e privata.
Chi può dimenticare l’immagine del Cavaliere che, in tenuta estiva, con la bandana sulla testa, riceve Blair nella sua dimora in Sardegna?
Renzi, allievo di Berlusconi in siffatta materia, ha adeguato poi il messaggio politico ai nuovi media, per cui il compito che venti anni fa veniva assolto dalla tv, oggi diventa appannaggio di Tweet: mediamente, infatti il Presidente del Consiglio twitta con i followers almeno un paio di volte a settimana, per cui il suo messaggio viene irradiato dapprima sui social network, poi viene rilanciato dalla televisione, che svolge la funzione di media di secondo livello, perché informa quei pochi Italiani, che non sono ancora avvezzi né a Tweet, né a Facebook.
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Così facendo, il nostro modello di Stato ha subito una trasformazione profonda, anche se il testo costituzionale non è stato mai modificato nella sua lettera: infatti, si è annullata la funzione dei partiti e di qualsiasi altra struttura intermedia fra il Palazzo e la pubblica opinione, perché la comunicazione diretta fra il Principe di turno e l’elettore-cittadino fa sì che il voto, quando viene espresso compiutamente nella cabina elettorale, non sia più indirizzato al partito “x” piuttosto che al partito “y”, ma l’unico destinatario ne diventa il leader, che ha saputo, nel corso del tempo, creare un rapporto empatico con i suoi simpatizzanti nel mondo virtuale.
Quando Grillo parla di una democrazia che può realizzarsi su Internet, per cui ambisce a sostituire le aule parlamentari con la piazza telematica, predica un concetto che ha un fondo di verità plausibile: un semplice clic potrà, in avvenire, modificare una democrazia rappresentativa in democrazia diretta, per cui un tweet o la discussione, a seguito di un post su Facebook, potrà sostituirsi al foro o all’agorà dell’antichità greco-romana.
Quali saranno, però, le conseguenze di una simile evoluzione?
Tutti saranno più contenti perché avranno l’illusione di aver determinato, concretamente, una scelta dello Stato?
Nessuno, forse, si accorgerà che l’opinione dei followers sarà, ancora, meno autentica di quella dell’elettore tradizionale, perché intelligentissimi e raffinatissimi sistemi di acquisizione del consenso faranno sì che il voto si esprima nella direzione voluta da chi gestisce la piattaforma telematica o da chi aspira, comunque, ad impadronirsi dei centri decisionali della nuova democrazia.
In tal senso, è giusto che non si abbassi la guardia e si avverta il pericolo insito nelle nuove tecnologie, che possono essere lo strumento attraverso cui un potere, non compiutamente democratico, riesce a sopraffare – anche se in modo apparentemente soft – qualsiasi legittimo tentativo di controllo e limitazione.
Ce ne accorgeremo al prossimo clic del nostro mouse?
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