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Rosario Pesce
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Quelle delle elezioni siciliane è stato un esito ovvio.
I risultati hanno riprodotto le previsioni, fatte in sede di sondaggio nel corso delle settimane precedenti al voto.
Il testa a testa fra il M5S e l’alleanza di Centro-Destra si è concluso a favore degli uomini di Berlusconi, che è tornato a recitare un ruolo di primo attore nella politica italiana, mentre la coalizione Renzi-Alfano è tracimata in modo fragoroso, così come era stato ampiamente preconizzato.
I problemi sul tappeto, quindi, che derivano dagli esiti delle Regionali siciliane, sono molteplici.
In primis, la disaffezione degli Italiani verso il rito per antonomasia della democrazia si è confermata, per cui ad andare a votare sono stati meno della metà degli aventi diritto, secondo un trend che, ormai da qualche anno, è consolidato nel Paese intero e non solo nel Mezzogiorno.
Inoltre, se è vero che Berlusconi si candida alla guida dell’Italia in virtù del voto siciliano, è anche altrettanto certo che egli, per le note vicende giudiziarie, non potrà essere il prossimo Presidente del Consiglio, visto che la sua condanna prevede, come pena accessoria, l’esclusione dai pubblici uffici.
Pertanto, in assenza di un delfino, che ne possa prendere il posto, la coalizione fra Berlusconi e Salvini rischia di portare a Palazzo Chigi il leader della Lega, per effetto pure della forza elettorale delle due formazioni di Centro-Destra, che è ormai identica.
Ciò sarebbe una novità fondamentale, visto che, nei venti anni precedenti, la guida del Polo è sempre stata appannaggio dei moderati berlusconiani e mai degli estremisti leghisti.
È, poi, evidente il nome dello sconfitto principale delle elezioni siciliane: il leader del PD, Matteo Renzi, che sarà chiamato nei prossimi mesi a ricucire il rapporto con MDP, se intende essere effettivamente credibile in occasione del voto di marzo, quando finanche un sol voto in più nei collegi maggioritari potrà far cadere l’ago della bilancia in favore della Destra o degli stessi Grillini.
Avrà la forza per cancellare gli ultimi anni e per ammettere gli errori commessi, il buon Renzi?
Invero, crediamo che la sua esperienza sia giunta al capolinea e che, nelle prossime settimane, sarà vittima di una manovra interna al PD, tesa a sostituire la premiership ed a creare un nuovo orizzonte, entro il quale il Partito Democratico non può non dialogare con i transfughi di Bersani e di D’Alema.
Di fatto, la Sicilia ha dato la stura ad una nuova fase della politica italiana, in cui, per effetto del forte astensionismo e della crisi dei partiti moderati di Sinistra e di Destra, i populismi rischiano di trascinare il Paese verso una deriva, che sarebbe stata impensabile, solo, fino ad un paio di anni fa.
Forse, siamo per davvero giunti alla fine della Seconda Repubblica?
Forse, non ci rimane che scegliere il suicidio della nazione intera per mano di Grillo ovvero di Salvini?
O, forse, un esito diverso sarà possibile il prossimo mese di marzo, purché nasca un’alternativa ragionevole e credibile al populismo, che non può essere rappresentata né dall’ottuagenario Berlusconi, né da un Renzi azzoppato da tre anni continui di sconfitte tanto sonore, quanto ineluttabili?
Vogliamo essere ottimisti, ma - di certo - oggi non può non prevalere il pessimismo della ragione.
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