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Un mare di morti

sabato, 16 giugno 2018 23:54

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Rosario Pesce
Il Mediterraneo non può divenire, certo, un mare di morti.
Gli eventi degli ultimi giorni dimostrano, invece, come alcuni Paesi, anche in modo legittimo, non riescono più a gestire i flussi migratori in ingresso, per cui sono indotti ad innalzare delle barricate, che sono ovviamente in contrasto con le leggi dell’umana moralità.
Chiudere un porto ed obbligare, così, una nave di migranti a girare per il Mediterraneo, aspettando che ci sia il gesto di generosità che sia risolutivo, non può invero essere coerente con la nostra tradizione italiana di nazione non intollerante, che ha sempre saputo offrire la necessaria ospitalità a chi ne aveva bisogno.
Ma, si sa che le ragioni della politica possono indurre cambiamenti, anche importanti, a fronte soprattutto di un limite oggettivo delle autorità internazionali, che non hanno saputo finora gestire i flussi migratori, evitando che pochi Paesi fossero costretti a far fronte ad un’emergenza umanitaria, che non ha eguali nella storia recente dell’Europa.
Ed è, proprio, l’Unione il grande assente di questi mesi, visto che non ha disciplinato nel modo più giusto ed opportuno possibile un fenomeno, che ha già cambiato la storia dell’Occidente.
Anche il dibattito fra quanti sono a favore dell’ospitalità e quanti, invece, l’avversano rischia di divenire stantìo e di non dare le necessarie risposte ad eventi, che incideranno non poco sull’economia e sui costumi della società che andremo a costruire nei prossimi anni.
Peraltro, la situazione non può che peggiorare, visto che parlare agli stomaci degli elettori può essere molto più conveniente che ragionare e compulsare una seria riflessione, che sia tesa a prendere consapevolezza di un problema, che non si può delegare ad altri, come è stato pure fatto con la vicenda Aquarius.
Non sempre si potrà chiedere che sia Malta o la Grecia o la Spagna a farsi carico della nave di turno, a meno che non si voglia giungere, di fatto, all’eutanasia del consesso europeo.
La problematica è fin troppo ampia, perché se ne faccia carico una sola nazione e ciò è talmente lapalissiano, che finanche un analista ingenuo sarebbe capace di intuire che, solo, l’Europa può gestire un fenomeno, di cui ormai si è perso il controllo.
Ma, quale Europa?
Quella di chi ha, finora, governato ed ha cercato di dare un riparo a questi poveri disgraziati o quella di chi si chiude nella difesa bieca di un interesse nazionale, che rischia di divenire la miccia di un conflitto, innanzitutto, all’interno della stessa Europa e, poi, fra questa e gli Stati del Nord-Africa che poco o nulla fanno per arrestare una simile, massiccia ondata migratoria?
Intorno all’organizzazione dei flussi migratori si decide il futuro dell’Europa, nelle forme e nei modi in cui è, tuttora, possibile concepirne uno per un continente che rimane espressione geografica e che tarda a divenire un’autorità statuale compiuta.
Forse, i nostri governanti hanno compreso con quale fuoco (metaforico e reale) stanno giocando?
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