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martedì, 17 febbraio 2015 16:50 |
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Rosario Pesce
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È evidente che, all’interno del Governo, esistano almeno due posizioni diverse: da una parte, quella dei Ministri della Difesa e degli Esteri, che, nei giorni scorsi, avevano fatto riferimento all’immediatezza di un intervento italiano in Libia; dall’altra, invece, quella dello stesso Premier, che, nel corso dei lavori della Direzione Nazionale del PD, ha smentito platealmente la tesi dei suoi collaboratori ed ha preso tempo in merito all’eventuale svolta militare nella delicatissima vicenda libica. Certo è che, in questo momento, Renzi paga gli errori, compiuti nel 2011 dal Governo Berlusconi, quando l’Italia consentì alla Francia di eliminare Gheddafi e di creare, dunque, le premesse per la situazione caotica, che tuttora permane.
Adesso, però, bisogna avere le idee chiare, perché il pericolo c’è ed è di dimensioni notevoli.
L’ONU, che dovrebbe dare legittimazione internazionale all’intervento italiano in Libia, sembra che sia distratta da altre tragiche problematiche, per cui, nonostante sia stata avanzata una richiesta dalla Francia, ancora non si sa quando si svolgerà la riunione del Consiglio di Sicurezza, che dovrebbe assumere decisioni importanti, che per noi Italiani divengono, finanche, vitali.
Il territorio libico – è ben noto – è estremamente articolato, perché in grandissima parte è desertico ed è disseminato di tribù, ciascuna delle quali agisce in modo autonomo, per cui diventa molto difficile trovare una mediazione politica, che eviti lo scoppio di un conflitto ad un tiro di schioppo dalle nostre coste.
Gli Statunitensi, da parte loro, sempre poco fiduciosi nell’operato dell’ONU, hanno deciso di non intervenire nello scacchiere del Mediterraneo ed hanno lasciato ad Italia e Francia l’onere di assumere le deliberazioni più appropriate in merito alla crisi libica.
È lapalissiano che, senza la legittimazione giuridica dell’ONU e senza l’aiuto militare degli Americani, l’Italia non entrerà mai nel vespaio libico, per cui è molto probabile che, almeno nell’immediato, non ci sarà alcuna presenza del nostro esercito né in Tripolitania, né in Cirenaica.
L’Isis, dunque, in assenza di una resistenza europea, avrà la possibilità, nelle prossime settimane, di avanzare ulteriormente nel territorio libico, arrivando a conquistare le due città di Misurata e Tripoli, che ancora non sono in suo possesso, visto che sono controllate da banditi, che agiscono fuori dal mandato - politico e legale - del Governo legittimo libico, che è insediato nella lontanissima Tobruk.
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Inquieta non poco il fatto che il nostro Governo, nel giro di due giorni, abbia cambiato idea, ipotizzando un percorso diverso della crisi libica.
È evidente che non solo manca una strategia, dato che il nostro Paese ha sempre preferito agire entro la cornice degli accordi internazionali, che al momento non sono stati ancora stipulati, ma soprattutto non si intravede – hic et nunc – una leadership indiscussa, che possa indicare la strada all’intera Europa.
L’Italia e la Francia sono i Paesi, che vantano maggiori interessi commerciali in Libia, per cui è giusto che siano essi ad assumere l’iniziativa, ben sapendo che l’eventuale scoppio di un conflitto militare fra Arabi ed Europei potrebbe rendere ingovernabile l’intero Mediterraneo, ma – al tempo stesso – risulta ovvio che non si possa consentire ad un manipolo di terroristi fanatici di gestire le coste libiche, visto che da quei luoghi partono, ogni giorno, migliaia di poveri cittadini africani, che cercano in Europa la soluzione al problema annoso della fame.
Non crediamo che, a breve, ci possa essere un’escalation di violenza, tale che il nostro Paese ed il Mediterraneo possano cadere in un clima di terrore e di ansia, ma certo è che, nella vicenda finora dipanatasi, è mancata una regia politica, che avrebbe potuto consentire ai Libici di avere un Governo legittimo, che impedisse ciò che, invece, è accaduto.
È insensato che, da quattro anni a questa parte, una nazione ricca e potente, come la Libia, sia nelle mani di bande organizzate, che si contendono fette rilevanti del territorio nazionale, come se fossero angoli di strada delle nostre periferie urbane da assegnare al controllo di questo o di quel bullo di quartiere.
Cosa ha fatto l’Italia per dare stabilità istituzionale ad una nazione, dai cui litorali partono quotidianamente i barconi famigerati con migranti e, talora, con potenziali terroristi, destinati ad entrare nel nostro Paese allo scopo di creare le premesse per la jihad?
Il disorientamento, che si è colto nei nostri principali rappresentanti di Governo, invero non rasserena, visto che non ci resta che sperare che un’autorevole personalità italiana (Prodi?) possa ricevere il mandato dall’UE e dall’ONU per andare a trattare con i Libici, al fine di favorire una soluzione araba del conflitto, lasciando cioè alle bande locali il delicato compito militare di eliminare l’Isis e di rinsaldare, così, i rapporti diplomatici con l’Occidente.
Se una simile soluzione andasse in porto, si arriverebbe ad una conclusione assai dignitosa, senza spargimento alcuno di sangue italiano; altrimenti, tutte le ipotesi – finanche, quelle meno auspicabili – andrebbero prese seriamente in considerazione, augurandosi che, la prossima volta, i Ministri competenti ed il Premier possano parlare univocamente, predicando concetti finalmente consimili.
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