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Un partito suicida

domenica, 09 ottobre 2016 09:51

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Rosario Pesce
La vicenda romana dimostra come il PD abbia un istinto suicida.
Ripercorriamo i fatti.
Viene eletto a Roma un sindaco di chiaro prestigio, Marino, il quale si evidenzia per la sua non appartenenza al ceto politico locale, lo stesso che – in gran parte – sarebbe rimasto coinvolto in “Mafia capitale”.
Orbene, un simile primo cittadino, in un altro contesto di partito, sarebbe stato sostenuto; invece, i vertici, laziali e nazionali, decidono di scaricarlo, appena il probo chirurgo riceve un avviso di garanzia per un addebito, che si dimostra poi, in sede di giudizio, assolutamente infondato.
Frattanto, i suoi consiglieri lo sfiduciano, peraltro neanche in Consiglio, ma attraverso un atto depositato presso un notaio e, per tal strada, Roma – nel giro di pochi mesi – passa dall’amministrazione del PD a quella grillina.
Parlare di masochismo è, forse, non azzardato, dal momento che è, a tutti, evidente che un partito forte ed autorevole avrebbe difeso, in modo strenuo, un proprio Sindaco - palesemente - onesto e corretto sia nel rapporto con le istituzioni, che con i suoi stessi dirigenti nazionali.
Peraltro, è evidente che, non trattandosi di un semplice capoluogo, ma della capitale italiana, la conseguente vittoria grillina ha avuto un’eco non solo locale, ma nazionale, aprendo così un varco importante all’ascesa del M5S sull’intero territorio, non solamente laziale.
Si sa che la gestione di Roma è stata affidata da Renzi ad Orfini, per cui, in tal caso, si evidenziano i limiti di una classe dirigente del PD incapace di gestire le criticità, che nascono negli Enti Locali.
Al caso romano non si può non aggiungere quello napoletano, per cui il PD, nel giro di pochi mesi, ha perso il principale Comune italiano e non si è messo nelle condizioni di essere effettivamente competitivo, in termini elettorali, nella più importante città del Sud.
Perché tutto questo?
Forse, per inesperienza?
Forse, perché - nel caso romano - Marino aveva iniziato a mettere le mani su tematiche molto rilevanti (questione Olimpiadi, ad esempio) e delicate?
Forse, perché Renzi ed i suoi accoliti preferiscono avere la guida di qualche Comune in meno, vedendo nei Sindaci un potenziale pericolo per la leadership dello stesso Presidente del Consiglio?
Certo è che l’assoluzione di Marino crea un caso a pochi mesi dal voto referendario: si consolida, infatti, per effetto della vicenda romana, l’immagine di un partito lacerato dai dissidi e dalle scissioni interne, che sono sovente il frutto di ansie e di aspirazioni individuali, pur legittime, che però non possono far fallire un progetto di governo.
Se questo è il PD, è chiaro che, nei prossimi mesi, le possibilità di un dissidio intestino, ulteriormente violento, non possono che essere in crescita.
Un tempo, i partiti potevano contare sulle classi dirigenti, che lavoravano per evitare casi analoghi; forse, si è deciso di creare un partito maggioritario nel Paese, che sia in grado di fare a meno di un gruppo di orientamento ed indirizzo, meramente per salvaguardare la leadership traballante del Premier?
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