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Rosario Pesce
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Mentre si spera di non rimanere contagiati, è chiaro che noi tutti facciamo un utile esercizio intellettuale, immaginando il mondo che ci sarà dopo la fine dell’emergenza Covid.
Certo è che la conflittualità sociale non potrà che essere resa ridondante per effetto delle diverse settimane di chiusura delle attività commerciali e produttive, che porteranno molte famiglie in una condizione di reale disagio.
Le misure, che il Governo ha assunto con il decreto di marzo, sono necessarie ma non sufficienti, visto che i due provvedimenti della mera sospensione dei pagamenti delle imposte e del contributo di seicento euro a coloro che lavorano con partita Iva - e che non hanno altro reddito - costituiscono solo un primo inizio di un piano di aiuto - che deve essere più ampio - verso moltissimi strati della popolazione.
Peraltro, è innegabile che, in particolare al Sud, la criminalità organizzata non potrà che soffiare sulla fiamma delle rivendicazioni, perché anch’essa ovviamente è stata colpita nei suoi interessi vitali per effetto della legislazione della quarantena.
E, quindi, lo scenario non potrà essere edificante quando sarà finita l’emergenza e la vera scommessa, per la sopravvivenza del consesso sociale, comincerà solo allora.
Saranno necessarie ingenti risorse finanziarie per far fronte ad una simile situazione, per cui non solo basta lo sforamento del Patto di Stabilità, ma lo stesso dovrà avvenire entro percentuali non irrilevanti, visto che l’area del bisogno sociale è molto ampia ed articolata.
Tutte le categorie professionali sono, infatti, in condizioni di precarietà e l’intervento dello Stato al loro fianco non può che essere massiccio, per poter salvaguardare il potere di spesa di moltissimi nuclei familiari e per poter evitare momenti traumatici, finanche, in materia di ordine pubblico.
Ce la farà l’Italia?
Certamente, se l’Europa deciderà in senso inverso rispetto a quanto fatto finora.
Derogare dal Patto di Stabilità è necessario, ma non sufficiente per far fronte alla crisi dei prossimi mesi.
Sarà necessario che l’Europa condivida il debito degli Stati più deboli ovvero di quelli maggiormente colpiti dal virus, come nel nostro caso, per cui è giusto e doveroso che tutte le iniziative possibili possano essere intraprese in tal senso, se si vuole tenere unita l’Unione ed evitare che qualche Paese, sull’onda emotiva dei fatti di queste settimane, decida di fare come ha già fatto il Regno Unito.
Il sistema internazionale di solidarietà deve funzionare, se non si vuole che imploda un ordine mondiale, che il virus ha colpito più rapidamente di quanto non abbiano fatto le guerre e le pestilenze dei secoli precedenti.
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