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Memoriale a Treblinka: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio - dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Olocausto
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Rosario Pesce
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La ricorrenza dell’anniversario dell’apertura dei campi di concentramento impone una riflessione seria sull’Olocausto, che certo è stato l’evento che ha segnato, in modo indelebile, la storia del Novecento.
Mai prima del XX secolo l’uomo aveva messo in essere un’opera altrettanto sistematica di distruzione di un popolo intero, unicamente per odio religioso ovvero per spirito di competizione, in termini economici, con una minoranza, solitamente, molto attiva e forte.
Eppure, il genocidio degli Ebrei, perpetrato dai Nazisti, nulla o poco ha insegnato all’umanità, dal momento che quelle scene orribili dei campi di concentramento si ripetono - tuttora - a diverse latitudini, con effetti altrettanto tragici.
Infatti, in Africa, in Asia, nelle Americhe latine, ancora oggi le scene di violenza e di odio si reiterano quotidianamente, come se l’umanità non avesse, appunto, imparato nulla da ciò che è, già, successo una volta.
La storia, allora, non è maestra di vita?
O, forse, l’istinto di potere fa sì che, in molti momenti cruciali, l’uomo diviene il peggiore nemico del proprio simile, che non si limita solo ad uccidere, ma soprattutto sfregia con comportamenti che mortificano ed umiliano la nostra specie?
La politica, la religione, che pure avrebbero il potere di condizionamento, non solo sono deboli rispetto ad eventi simili, ma molto spesso – consapevolmente o inconsapevolmente – inducono eventi di tal fatta, per cui chi dovrebbe avere interesse alla moderazione ed alla gestione dei conflitti, non fa altro che compulsarne altri, ben più gravi e pericolosi.
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