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Rosario Pesce
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Quella di Trump è, senza alcun dubbio, una vittoria divisiva, visto che non solo il suo Paese, ma il mondo si interroga sul futuro che un simile evento potrà determinare per l’umanità intera. .
È evidente che, nell’America più profonda, il sentimento anti-sistema covava da tempo, per cui il miliardario, xenofobo ed insofferente a tutte le minoranze, non poteva non trarre un vantaggio molto forte dal fatto che egli rappresenta, in modo un po’ kitsch, il sogno americano.
Non si tratta di una disgrazia, ma è ovvio che la sua elezione impone alla classe dirigente di molte nazioni di interrogarsi sugli sviluppi della politica mondiale.
È pleonastico sottolineare che la crisi del sistema economico mondiale abbia, sempre più in modo marcato, spinto gli elettori a preferire soluzioni che vanno ben oltre il “politically correct”.
Più una personalità evidenzia una propria differenza rispetto ad un costume sociale consolidato, più quell’individuo riesce ad affermarsi nel contesto di riferimento.
In tal senso, Trump ha avuto gioco fin troppo facile nel vincere una competizione elettorale contro chi, invece, rappresentava a modo suo la continuità della gestione degli ultimi trent’anni, incarnando perciò i mali di un tempo storico contrassegnato dalla povertà diffusa e da una condizione di insicurezza, che spinge i cittadini a ricercare chi dà loro certezze, anche, in salsa parafascista.
È tanto più evidente che le politiche liberal-democratiche e social-democratiche hanno fatto il loro tempo.
È necessario un intervento massiccio dello Stato in favore di ceti deboli, che sia in grado di garantire a questi la sopravvivenza, a meno che non si voglia che il miliardario di turno, come Trump, non vinca le elezioni, facendosi araldo di un messaggio diametralmente opposto, segnato dalla lotta ai privilegi della casta, che - invece - nasconde un liberismo esasperato ed un intrinseco odio sociale verso chi è debole ed emarginato.
La devoluzione in campo fiscale, ineluttabilmente, recherà con sé conseguenze nefaste per i servizi pubblici, visto che un minor carico di tasse implica una diminuzione sensibile dell’offerta pubblica nei campi della Sanità, dell’Istruzione e della Previdenza.
Ma, rispetto ad un sistema spurio, come quello che poteva garantire la Clinton, gli Americani hanno preferito una scelta netta, molto pronunciata sul versante della negazione dei diritti civili.
Si arguisce che, con i diritti, non si mangia, se quegli elettori, che hanno votato Trump, hanno reputato che l’iper-liberismo delle sue politiche consentirà di riavviare un ciclo virtuoso.
Riteniamo, invece, che l’unico fenomeno, che prenderà di nuovo piede, sarà la guerra fra poveri, visto che i molti milioni di poveri Statunitensi si contrapporranno in modo sempre più netto ai nuovi poveri, che vorranno entrare sul suolo americano, provenendo dal Sud.
Tempi, quindi, non facili si prospettano per chi vorrà vivere e lavorare negli Usa, ma soprattutto per il mondo intero, perché rischia di saltare la mediazione della politica ed, anzi, quest’ultima, per effetto di scelte scellerate, può divenire un acceleratore di contenziosi, che potranno risolversi solamente impugnando le armi ad opera di quei milioni di diseredati, che ricercano pane (e diritti) e che non lo troveranno, facilmente, in questa società contrassegnata dal benessere concentrato nelle mani di pochi.
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