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Secessione sul Monte Sacro, B. Barloccini, 1849
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Rosario Pesce
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Una delle cose più difficili nella società odierna è la gestione del conflitto: conflitti continui caratterizzano ogni dimensione della vita sociale, dal lavoro alla famiglia, dalla politica al tempo libero.
Sembra, quasi, un impazzimento: ciascuno recrimina diritti nei riguardi degli altri, a volte dimenticando che, prima dei diritti, esistono i doveri e che, in particolare, la dimensione del rispetto reciproco dovrebbe spingere a compulsare i tratti migliori della propria e dell’altrui personalità.
Un tempo, esisteva una regola: la Chiesa, lo Stato, il pater familias, per cui il conflitto non degenerava mai nell’impazzimento diffuso, perché chi ne aveva il potere era in grado di mettere un limite nel caso in cui si fosse travalicato il buon senso, oltreché ogni più ragionevole concezione della vita e del dovere.
Oggi, queste autorità scricchiolano sempre più, per cui, in assenza di un agente regolatore, il conflitto diventa permanente e, soprattutto, privo di un limite plausibile.
Il conflitto, infatti, diviene molto facilmente contenzioso, che si prolunga nel tempo, con una scia di vittime e di sconfitti che, davvero, non si può narrare.
Cui prodest?
A chi giova una famiglia inesistente?
Uno Stato poco autorevole?
Una scuola non considerata nel giusto verso?
Una società che è, sempre, più simile alla giungla pre-civile?
Eppure, questo è il contesto entro il quale ci troviamo ad agire: un milieu, a volte, malato di protagonismo, così come di eccessi, che sono molto vicini al parossismo.
In cosa l’uomo ha sbagliato, perché si venisse a creare una simile condizione?
Forse, le ideologie del XIX e del XX secolo hanno creato un permissivismo, che ha nociuto al consesso civile, più di quanto non abbia giovato in termini di crescita democratica?
Forse, la stessa religione non è stata più in grado di guidare i fedeli, per cui i primi ambienti, nei quali si sono prodotti grandi dissidi, a volte difficilmente gestibili, sono proprio quelli ecclesiastici?
Forse, i ritmi ed i tempi della società moderna hanno indotto l’impazzimento generalizzato, per cui alla concordia civile si preferisce il conflitto non costruttivo?
Forse, più semplicemente l’uomo è alla ricerca di una norma, che non riesce né a costruire razionalmente, né ad accettare inconsapevolmente, per cui i danni odierni nascono da una mancata accettazione razionale e da un rifiuto inconscio della propria natura di essere sociale?
O forse, più semplicemente, siamo in presenza di un fallimento (che affonda in radici antropologiche) che, prima ancora che civile, è di ordine morale ed è intrinseco, proprio, alla natura umana?
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