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Rosario Pesce
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Grazie alla televisione, abbiamo l’opportunità d vivere il sisma in diretta.
Infatti, nel corso degli ultimi mesi, visto il ripetersi di scosse sismiche, che hanno colpito per lo più l’Italia centrale, per effetto della copertura offerta dalle televisioni satellitari, abbiamo avuto la chance di assistere ai momenti immediatamente successivi all’evento sismico principale ed alle successive operazioni di assistenza in favore delle popolazioni colpite dalla calamità naturale.
Un Grande Fratello mediatico, che si costruisce su un evento luttuoso per molte migliaia di Italiani, che, quando non perdono la vita, sono destinati almeno a perdere la propria casa e gli affetti più importanti.
Invero, molto spesso ci si è domandato dove debba arrivare il diritto di cronaca: la morte, il lutto, la sofferenza devono essere documentati dalle televisioni ovvero c’è un limite oltre il quale non si deve andare per rispetto delle vittime?
Mai come nelle ultime vicende del sisma marchigiano ed umbro, invero gli interventi hanno funzionato, per cui, anche in rapporto alla collocazione dei centri abitati, sovente impervia, i mezzi di soccorso hanno avuto modo di assistere adeguatamente le popolazioni colpite dal sisma e questo fatto è stato, prontamente, rendicontato dai mass-media, che hanno operato a stretto gomito con i medesimi soccorritori.
Pertanto, in tal modo, il lavoro dei giornalisti ha potuto offrire uno spaccato rilevante della fatica compiuta dai soccorritori, così come, grazie alle immagini delle televisioni, abbiamo avuto modo di apprezzare, sia pure in maniera empirica, la gravità dei danni arrecati dal movimento della terra.
Sono state, però, trasmesse - a volte - immagini molto forti, che hanno colpito la sensibilità degli spettatori.
Il rischio è evidente: dal diritto di cronaca, che è assolutamente legittimo e che va sempre tutelato, si può scivolare in una narrazione del dolore, che nasce solo per fini di mera speculazione, dato che la morte e la sofferenza, ad essa connessa, sono elementi che assicurano una platea di spettatori certa a qualsiasi trasmissione.
Dov’è la linea di demarcazione fra giornalismo e tragico voyeurismo?
Purtroppo, la scienza prevede che il nostro Paese, nei prossimi mesi, potrà subire altri simili eventi calamitosi, per cui temiamo che il giornalismo della morte e della devastazione possa divenire uno specialismo dell’informazione e questa prospettiva, invero, ci dispiacerebbe.
Forse, in assenza di altre attività, il terremoto diventerà un anomalo fattore di incremento del prodotto interno lordo nazionale, anche per la voce relativa ai giornalisti ed alla stampa?
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