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Rosario Pesce
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Quella referendaria è, certamente, la partita più difficile che - finora - ha giocato Renzi, visto che da questa dipende il prossimo quinquennio della politica nazionale.
Napolitano, più volte, dall’alto del suo ex-scranno quirinalizio, ha pubblicamente bacchettato il Premier, accusandolo giustamente di aver troppo personalizzato la contesa referendaria, per cui, così facendo, ha regalato qualche punto a favore della propaganda del NO, che non aspettava altro, se non un siffatto ed inatteso dono.
Peraltro, il fatto che il Presidente del Consiglio vada, ancora, in televisione a fare propaganda per il Sì, sta a significare che l’errore non solo non è stato cancellato, ma viene riprodotto, quasi per effetto di uno stimolo ossessivo-compulsivo.
Infatti, appare a tutti evidente che, nei prossimi mesi, sarà cosa buona e giusta, per chi crede nelle ragioni del Sì, che queste vengano rese pubbliche e siano descritte e propagandate da altre personalità, che non siano - appunto - né il Premier, né qualche suo avvenente Ministro.
Altrimenti, ineluttabilmente il voto referendario si trasformerà in un’adesione pro o contro l’attuale Governo e questo fatto non aiuterà, invero, la vittoria referendaria, dal momento che mai il Governo è stato in una così forte condizione di difficoltà.
Ma, perché Renzi ha commesso – e continua a commettere – l’errore di personalizzare una competizione, che dovrebbero giocare altri attori?
È ovvio che il merito dell’eventuale modifica della Costituzione, in caso di vittoria del Sì, verrebbe comunque sempre ascritto a lui ed all’Esecutivo, che guida, per cui il suo atteggiamento non solo è pleonastico, ma è addirittura nocivo.
Forse, vuole scrivere, in modo definitivo, il suo nome sotto la nuova Costituzione?
Ma, questo, qualora pure avvenisse, non modificherebbe il corso degli eventi: ci sono stati Presidenti della Repubblica o Presidenti del Consiglio, negli Stati Uniti ed in mezza Europa, che hanno perso il loro scranno, finanche, dopo la vittoria nei due Conflitti Mondiali, che invero è molto più importante, per la vita civile di un Paese, di un successo in una competizione referendaria.
È ovvio che Renzi sia stato, suo malgrado, la longa manus, attraverso cui si è consumato un percorso parlamentare, che ha portato all’approvazione del nuovo testo: un siffatto iter è stato ispirato e caldeggiato dall’allora Capo di Stato, Giorgio Napolitano, che non ha perso un ruolo politico, neanche dopo aver lasciato il Quirinale.
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