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Rosario Pesce
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Il Presidente del Consiglio, parlando in conferenza stampa del profilo del prossimo Capo dello Stato, ha dichiarato che egli dovrà essere un arbitro dei destini istituzionali del nostro Paese e non un attore.
Il suo giudizio, per quanto impeccabile sul piano formale, visto che questo è il ruolo che la Costituzione obiettivamente assegna all’inquilino del Quirinale, si scontra con l’esperienza storica dell’ultimo trentennio, dal momento che tutti i Presidenti della Repubblica, che si sono succeduti da Pertini in poi, sono stati protagonisti della vita politica, non limitandosi quindi alla mera funzione di notai delle decisioni del Parlamento o del Governo.
Molto probabilmente, è esistita una disciplina costituzionale effettiva ben diversa da quella sancita dalla lettera della Carta, per cui tutti gli ultimi Capi di Stato non sono stati soggetti passivi, ma hanno interpretato la funzione assegnata loro in modo proattivo, visto che spesso essi hanno compulsato il Parlamento, quando questo dimostrava limiti nella sua azione quotidiana, per cui – inevitabilmente – Pertini, Scalfaro, Ciampi, Cossiga, Napolitano – anche se in forme diverse – sono stati dei leaders, che hanno assunto, a tratti, una guida politica, sebbene questa non sia, esplicitamente, prevista dalla Costituzione vigente.
Essi, invero, hanno svolto una funzione di supplenza, dal momento che il loro compito è andato progressivamente ampliandosi, man mano che i partiti, a causa di Tangentopoli, hanno perso credibilità, divenendo nel corso della Seconda Repubblica così liquidi, che – a volte – si è fatta fatica, finanche, ad individuarne traccia.
Non è un caso se, due anni fa, sia stato chiesto allo stesso Napolitano di accettare un secondo mandato, perché i partiti dell’epoca – che sono, esattamente, quelli odierni – non erano in grado di individuare unanimemente un nome all’altezza del compito, per cui non rimaneva altra soluzione che confermare il Presidente uscente.
Napolitano accettò il secondo mandato, vincolandolo però alla ratifica del percorso riformatore: quindi, da Capo dello Stato, ad un tempo uscente e rientrante nelle funzioni, egli è stato – molto giustamente ed opportunamente – un vertice politico, tanto che ha deciso di dimettersi nel momento in cui ha percepito nitidamente che i partiti, che lo avevano riconfermato nel 2013, sono venuti meno agli impegni presi, visto che l’iter riformatore è, ancora, in fieri e non se ne intravede la conclusione possibile.
Scalfaro, invece, fu il vero oppositore dal Quirinale di Berlusconi e del berlusconismo trionfante, che, in quel momento storico - la seconda metà degli anni ’90 - viveva la fase migliore della sua ascesa, così come Cossiga fu quello che usò il ruolo quirinalizio per picconare, ad un tempo, la Magistratura ed i partiti della Prima Repubblica, dato che aveva intuito, meglio e prima di altri, che la stagione del compromesso tacito fra forze politiche e toghe si avviava rapidamente alla conclusione, per cui, con il suo atteggiamento, egli accelerò indubbiamente il processo di decomposizione degli equilibri istituzionali, consolidatisi nei precedenti cinquant’anni.
Ciampi, invece, pur non essendo un politico di professione e nonostante provenisse dalla Banca d’Italia, dimostrò grande perizia, quando ha saputo condurre la trattativa fra il nostro Paese e le altre potenze continentali nella fase immediamente precedente alla nascita dell’Unione monetaria, facendo sì che, per almeno un decennio, l’introduzione dell’euro portasse gli effetti benefici sull’inflazione, che si sono avvertiti nei momenti successivi al varo della nuova divisa.
Pertini, infine, fu la personalità che, prima di altri, capì che l’inquilino del Quirinale dovesse uscire dal protocollo e dalle formalità previste, per ricostruire il rapporto, in questo modo, fra le istituzioni ed il Paese reale.
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