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Rosario Pesce
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È particolare il rapporto fra il Presidente del Consiglio e la stampa nazionale.
Per un anno circa, egli ha goduto, dopo la nomina a Presidente del Consiglio, del consenso unanime di tutti gli organi di stampa, dalla Rai a Fininvest, dalla carta stampata alla radio.
Progressivamente, tale idillio è, poi, venuto a mancare: in particolare, con la testata La Repubblica e con il Tg3 la relazione del Premier si è fatta assai più complicata, a tal punto che sia il telegiornale, guidato dalla Berlinguer, sia il giornale, di proprietà della famiglia De Benedetti, lo hanno sfidato sul terreno del referendum, facendosi – sia pure in forme diverse – araldi del “NO”.
Orbene, contro la potente famiglia di Ivrea egli può poco o nulla.
Invece, contro la Berlinguer è partita subito la rappresaglia, per cui, nelle prossime ore, è molto probabile che venga sostituita e nominata al suo posto un’altra personalità del giornalismo italiano, favorevole al “Sì” al quesito referendario.
Da più parti si fa il paragone con il famigerato editto bulgaro di Berlusconi, con il quale il Premier di allora espulse dalla Rai sia Santoro, che Biagi e Luttazzi, in nome di un principio che mai andrebbe formalizzato in uno Stato democratico: chi critica il potente di turno, non ha diritto ad occupare posizioni di privilegio nella televisione pubblica.
Non vogliamo fare, anche, noi una simile analogia, visto che un elemento di differenza rispetto alla vicenda berlusconiana esiste: Berlusconi sparava contro esponenti del giornalismo di Sinistra, per cui i suoi erano nemici ben noti e, come tali, oggetto di una persecuzione intollerante.
In tal caso, invece l’anatema di Renzi contro la Berlinguer – se c’è stato effettivamente, come abbiamo ragione di credere – è, ancora, più inviso ed antipatico, in quanto il Premier attacca un’espressione giornalistica della sua stessa parte politica, rea solo di condividere la medesima opinione della minoranza democratica in materia di riforme costituzionali.
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