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Thomas Couture: La decadenza dei costumi - Musee d'Orsay - Creato: 1 gennaio 1847
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Rosario Pesce
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In una recente intervista, l’editore di Repubblica De Benedetti ha fatto riferimento esplicito al fallimento delle élite in merito agli esiti del processo di globalizzazione.
È sotto gli occhi di tutti la sconfitta che il sistema socio-economico consegue giorno per giorno, visto che gli obiettivi, che ci si era proposti, sono andati miseramente falliti.
Si era pensato, alla fine del secolo scorso, dopo la caduta del Muro di Berlino, che la globalizzazione potesse offrire nuove possibilità di successo ad una generazione, che sarebbe cresciuta finalmente senza lo spauracchio del Fascismo e del Comunismo.
Le sorti progressive dell’umanità avrebbero prevalso rispetto ai drammi del Novecento, per cui mai più morte ed, in particolare, ricchezza e chance di promozione sociale per tutti.
Invece, dopo venti anni circa, possiamo registrare che la svolta, impressa alla storia europea ed a quella degli altri popoli, non è davvero questa: l’Europa, dal canto suo, è un continente sempre più povero, dal momento che il trasferimento delle produzioni industriali in Africa, in Asia, in America Latina induce disoccupazione a go-go.
Ancora, gli altri continenti, che ricevono i nuovi impianti industriali, che vengono delocalizzati laddove la manodopera costa meno ed il fisco è meno opprimente, non stanno divenendo ricchi come si poteva immaginare, visto che non esiste un’opportuna distribuzione sociale di tali enormi capitali, per cui – per effetto di una dinamica, invero, spietata – si depauperano sia i continenti che ricevono, sia quelli che perdono le imprese suddette.
Peraltro, la globalizzazione ha determinato delle attese, che non sono affatto giustificate: infatti, il trasferimento di migliaia di persone dal Sud del mondo verso l’Europa è una tendenza, che oramai il vecchio continente non è più in grado di reggere, per cui quel triste spettacolo dei bambini, che muoiono in mare, è l’immagine plastica che qualcosa non ha, obiettivamente, funzionato in questi decenni nei quali si credeva di aver risolto ogni problema dell’umanità.
Inoltre, è evidente che, laddove nasce e si accentua il conflitto, ineluttabilmente germogliano i sentimenti peggiori: pertanto, il fallimento della globalizzazione porta con sé una recrudescenza dei nazionalismi, che si era creduto di aver messo, definitivamente, da parte con il passaggio al nuovo millennio.
In tale contesto, ricadono le parole di De Benedetti.
È chiaro che la globalizzazione sia stato un processo indotto dalle élite mondiali, che hanno creduto di poter espandere così il loro già immenso potere, ma appare ovvio che qualcosa non torni.
I governi dell’Occidente sono tutti oggetto di una feroce contestazione da parte di quei ceti, sempre più numerosi, che sono letteralmente tagliati fuori dalla società dei consumi o che rischiano di esserlo nel corso dei prossimi decenni, quando ancora più forte e stridente sarà il gap fra ricchi e poveri, fra integrati ed apocalittici, fra filogovernativi e rivoluzionari, sia pure in senso confuso e caotico.
Le élite, nel corso dei secoli precedenti, hanno sempre impresso un indirizzo di crescita alla società occidentale: non furono le élite a fare l’Illuminismo? Ed i vari Risorgimenti nazionali? E non si deve a loro la sconfitta dei totalitarismi del Novecento?
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