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Inoltre, è evidente che i principi, che hanno ispirato nel corso di questi decenni le scelte delle autorità continentali, sono stati tutti ispirati al sano liberismo di matrice novecentesca: tradizione culturale, questa, certamente nobilissima, ma forse inadeguata ad affrontare le sfide di una società, all’interno della quale i conflitti fra classi e generazioni si sono resi ancora più stridenti del recente passato, per cui la scelta dei cittadini britannici (o quella che potrebbe derivare in altri Paesi) niente altro è se non una moderna forma di lotta di classe fra gli integrati – gli europeisti – e gli incavolati – cioè gli antieuropeisti, tutti coloro che, dall’ingresso del loro Stato in Europa, hanno visto erodere sempre più la propria ricchezza.
È evidente che, quando le politiche finanziarie di un nuovo organismo generano povertà crescente e disagio sociale, la scelta dei cittadini diventa un atto di rottura con il passato, per cui le rivoluzioni, che prima si facevano con le armi e con lo spargimento di sangue, oggi si fanno attraverso la libera espressione del voto popolare.
Ma, un organismo elitario, come l’Unione, che risponde a logiche che non sono immediatamente comprensibili dal popolo, può sorreggersi sull’espressione di un volere democratico in senso compiuto, qual è la democrazia diretta, che si costruisce attraverso i referendum?
In tale contesto, a trarre vantaggio possono essere solo tutti quei piccoli Paesi, che un tempo rientravano nell’area di influenza sovietica, che avranno nei prossimi anni ancora maggiore spazio, dopo l’uscita della Gran Bretagna: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, le Repubbliche Baltiche, rappresentano, ormai, le uniche realtà che hanno effettivamente guadagnato dalla svolta europea della fine del Novecento e dei primi anni del Duemila.
Pertanto, l’analogia con il mondo del calcio, da cui siamo partiti, forse ha un senso più profondo: da una parte, la vecchia Europa, quella nobile ed un tempo potente, sempre più antieuropeista (vogliamo fare la prova, facendo il referendum in Italia, Francia, Spagna o, perfino, nella stessa Germania?) e dall’altra parte la nuova Europa sempre più europeista - incarnata da quegli Stati che hanno rappresentato, sempre, il cuscinetto fra Mitteleuropa e Russia - che invece cresce a vista d’occhio e fa richiesta di più Europa e di migliori politiche comunitarie ancora.
Una sola, importante differenza non può essere, però, omessa: se una competizione calcistica può essere vinta grazie alla prodezza di un calciatore polacco o slovacco, non esiste l’Europa priva della sua aristocrazia novecentesca, per cui è giusto che, dalle parti di Bruxelles, ragionino seriamente affinché, in futuro, il cittadino italiano o francese o spagnolo non faccia la medesima scelta di quello britannico.
Saranno capaci le élite europee di comprendere un simile dato e si attiveranno in tal senso?
Noi, frattanto, non possiamo che tifare, gridando a squarciagola “Forza Italia”.
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