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Rosario Pesce
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L’omicidio della parlamentare britannica, nel corso della campagna elettorale referendaria, che potrebbe portare quel Paese fuori dall’Unione Europea, la dice lunga intorno allo stato di salute degli organismi comunitari, che ormai sono sempre più invisi alla pubblica opinione internazionale, a tal punto da indurre un folle ad uccidere una donna giovanissima, rea solo di credere, fermamente, nella costruzione della nuova Europa.
Purtroppo, i motivi, sui quali dobbiamo ragionare, non mancano, visto che, nel corso degli ultimi due decenni, molte delle speranze, che si erano accese intorno al processo di costruzione della UE, si sono rapidamente spente a causa dei disagi e delle difficoltà, che l’Unione ha incontrato nel suo cammino di affermazione, prima di tutto a livello di sentire comune.
Quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, fu impressa un’accelerazione al processo di creazione di uno Stato, che avrebbe voluto essere federale, si credeva che, finalmente, le sorti progressive dell’umanità stessero per realizzarsi, a tal punto che alcuni osservatori, forse in modo improvvido e poco prudente, salutarono la nascita del nuovo soggetto politico come l’alba non solo di un nuovo millennio, ma, in particolare, di una nuova epoca fatta solo di progresso e di crescita per moltissimi, se non per tutti.
I fatti della storia, invece, hanno intrapreso un iter molto differente, visto che, oggi, dopo venti anni circa dai Trattati di Maastricht, siamo qui a piangere per una creatura mai effettivamente nata.
La pace non è stata realizzata compiutamente, visto che, caduto l’antagonismo fra Est ed Ovest, sono nati pericolosi conflitti locali, a cui l’Europa ha assistito inerme: il caso del conflitto slavo, alla fine del secolo scorso, è solo quello più eclatante, dato che, in quella situazione, l’Unione fornì, forse, il peggiore esempio possibile in termini di concertazione dell’azione politica e di condivisione degli sforzi militari, in vista di un comune fine di pace e di prosperità.
Poi, con l’arrivo del nuovo millennio, alla crisi politica si è aggiunta quella economica, dal momento che la globalizzazione ha fatto sì che il vecchio continente fosse sempre meno essenziale negli equilibri generali, a tal punto che i veri centri della produzione si sono spostati altrove, certamente fuori dal suolo europeo.
Per tal via, anche la solidarietà, che era il mantra di tutte le classi dirigenti del secolo scorso, è divenuta sempre più un feticcio, visto che, mancando le ricchezze prodotte da un’economia in salute, non esiste neanche più la chance di ridistribuire ciò che viene generato in termini di profitto e di plusvalore.
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