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domenica, 05 giugno 2016 20:40 |
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Rosario Pesce
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Quello odierno non è solo un turno di elezioni amministrative, ma è soprattutto un autentico test di democrazia, per molti aspetti.
Innanzitutto, lo è perché è giusto che venga verificata la percentuale dell’astensionismo, che - crediamo – sarà, comunque, rilevante rispetto agli standard di partecipazione di solo alcuni anni or sono, a cui noi eravamo abituati.
Infatti, dopo il voto politico del 2013, si è verificato un progressivo inabissarsi della percentuale degli elettori, che non rinunciano ad espletare il loro diritto-dovere civico.
Peraltro, è evidente che, se l’astensionismo dovesse catalizzare il dissenso della stragrande maggioranza degli Italiani, ineluttabilmente i partiti di Governo sarebbero avvantaggiati: cosa diversa, invece, potrebbe accadere, se l’espressione democratica di rottura con il sistema attuale dei partiti si manifestasse attraverso l’adesione ad uno dei Movimenti – Grillo o Salvini, ad esempio – che si fanno artefici, ormai da tempo, di un antagonismo molto forte e pronunciato verso chi regge le sorti dell’Esecutivo.
Inoltre, il test di democrazia sarà attendibile nella misura in cui ci fornirà un’informazione preziosa: chi andrà a votare, lo farà unicamente per scegliere il proprio sindaco ovvero lo farà rivolgendo uno sguardo alle sorti nazionali?
È evidente che, a tal riguardo, il Presidente del Consiglio non può non spostare altrove le attenzioni degli osservatori e dei giornalisti, dichiarando che egli giocherà la sua permanenza al Governo sulla partita referendaria e non sull’elezione del sindaco di Roma piuttosto che di quello di Milano o Napoli o Torino.
Ma, gli Italiani sono fin troppo maliziosi per non capire che, nel caso in cui il PD non dovesse eleggere, neanche, un Sindaco di una delle metropoli al voto quest’oggi, si aprirebbe una resa dei conti all’interno del principale partito dell’odierno Parlamento, con conseguenze imprevedibili, finanche, sullo stesso referendum, che è cosi tanto presente nei pensieri del Premier.
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Inoltre, non si può negare che il test del 5 giugno sia utilissimo, anche, per verificare lo stato di salute dei partiti di opposizione, che sono perfettamente integrati nel sistema di potere renziano, in particolare Forza Italia. Infatti, se si dovesse costruire, a breve, un’alternativa al Governo attuale, sarebbe importante che tutti i partiti moderati arrivassero a quel traguardo, ancora, con una buona dose di autorevolezza; altrimenti, si sarebbe consumata, nel corso di questi due anni e mezzo, la più colossale forma di delegittimazione dell’arco costituzionale, cioè di quel ventaglio di organizzazioni partitiche che, più di altre, hanno forzato la mano per modificare la Carta del 1948, giungendo al risultato, che dovrà poi essere sottoposto al vaglio degli elettori nel prossimo mese di ottobre.
Come si arguisce, non è inessenziale l’esito della vicenda elettorale odierna e della prossima domenica, per quei Comuni che dovessero andare al ballottaggio.
In gioco, nonostante quello che lui dice, c’è il futuro del Governo e del suo Presidente del Consiglio, che – ormai – non riesce a sedurre le genti con il medesimo margine di successo con cui operava, solo, un anno fa, a dimostrazione che il voto amministrativo rappresenta, per dirla con linguaggio anglosassone, un test “di medio termine”, la verifica se cioè il vagone Italia deve continuare, per tale strada, fino al 2018 ovvero deve modificare percorso e, perché no, anche il conducente.
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