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Rosario Pesce
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I sondaggi, per quel che possono essere utili, offrono comunque un’informazione preziosa in merito alla volontà degli elettori.
Orbene, quelli, che finora sono stati commissionati, ci trasferiscono un dato davvero importante: in due delle tre grandi città (Roma, Milano e Napoli), che andranno al voto il prossimo 5 giugno, il PD non andrebbe neanche al ballottaggio, per cui i suoi candidati arriverebbero terzi o, perfino, quarti al primo turno, posizionati ben dopo gli esponenti di Forza Italia, dei Grillini o degli schieramenti civici, che pure sono presenti.
Se questo esito venisse confermato dal voto reale degli elettori, Renzi sarebbe costretto ad ammettere la sconfitta, anche se – inevitabilmente – egli avrebbe facile gioco nel dire che si tratta di un mero fatto di natura locale, che nulla toglie o aggiunge alla salute del suo Governo.
Non è un caso, d’altronde, se egli ha già iniziato la campagna per il referendum di ottobre, quasi a voler significare che la partita di giugno non lo interessa affatto, forse perché sa, appunto, che il suo partito rischia, in questo caso, il peggiore risultato della propria recente storia elettorale.
È evidente che, allora, nonostante le difese del Presidente del Consiglio, inizierebbero comunque i processi all’interno del PD, poiché non può essere – invero – ritenuta una buona notizia una sconfitta così fragorosa e, soprattutto, ampiamente preannunciata.
Peraltro, la guerra intestina al Partito Democratico è, già, iniziata molto tempo prima, visto che sono state messe in discussione dalla minoranza le alleanze, che sono state costruite, in particolare, in Campania, dove il partito del Presidente del Consiglio è alleato di Ala, la giovane formazione politica di Verdini, che - al di sotto del Volturno - fa riferimento agli uomini che, un tempo, dominavano in modo incontrastato all’interno di Forza Italia.
È ovvio che le schermaglie fra maggioranza e minoranza democratica possono interessare, solo, gli addetti ai lavori, ma un dato, da questi fatti minimi di cronaca, possiamo pure ricavarlo: dopo due anni e mezzo di Governo, non solo il PD è lacerato dalle lotte intestine, ma soprattutto non ha una strategia unica, sia rispetto al voto amministrativo, che al referendum di ottobre, dal momento che coloro che, oggi, criticano la condotta renziana, giocheranno tutte le carte a loro disposizione, nel mese di ottobre, quando inviteranno gli elettori a votare in modo diverso da quanto sta facendo, sin da ora, il Capo del Governo.
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