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Naturalmente, come si può arguire, la scommessa dell’integrazione si può vincere più facilmente, quando c’è ricchezza per tutti; quando, invece, la ricchezza tende a decrescere, diviene molto difficile riuscire ad estirpare atteggiamenti, eventualmente, xenofobi ed intolleranti, perché i flussi migratori finiscono per innescare dinamiche perverse, quali quelle che si accompagnano, tipicamente, alle fasi storiche nelle quali i poveri sono in guerra permanente fra di loro.
Tutti questi dati, nel corso del biennio di Governo di Renzi, si sono stratificati ed hanno creato un fortissimo allarme sociale, che si ripercuote sul livello di gradimento dell’Esecutivo, visto che, a torto o a ragione, gli Italiani si sentono più poveri ed, in particolare, meno protetti rispetto alle grandi emergenze sociali del nostro tempo.
A questi dati di interesse generale, se ne aggiungono altri, ben meno importanti, ma comunque qualificanti, che ineriscono alla vita delle istituzioni e dei partiti.
Appare sotto gli occhi di tutti la mutazione genetica, che Renzi ha imposto al PD: ormai, sono decisivi per le sorti del suo Governo forze politiche, che poco o nulla hanno a che fare con la tradizione del Centro-Sinistra, da Alfano a Verdini, per citare i due più autorevoli rappresentanti di spezzoni del vecchio Centro-Destra, che oggi invece sostengono, in una posizione di ovvia forza, un Esecutivo che, altrimenti, non avrebbe i numeri per andare avanti alla Camera.
Questo scenario parlamentare ha, comunque, logorato Renzi, perché, per quanto il PD sia un partito di recente fondazione, è un soggetto partitico che si è sempre collocato in un orizzonte culturale che, per sua definizione, è molto diverso da quello in cui si riconoscono molti di quei politici che sono transitati dal carro berlusconiano a quello renziano.
Le elezioni del prossimo mese di giugno, in moltissime città italiane, saranno utili per capire lo stato di salute di un partito, che oggi appare parcellizzato in correnti e componenti varie, destinate prima o poi ad implodere, quando la tenuta del Governo non sarà più certa per l’intervento di fattori internazionali, che forse indurranno Renzi a fare ciò che toccò in sorte, nel 2011, a Berlusconi.
È evidente, infatti, che lo scontro attuale con l’Europa non può essere foriero di nessuna buona notizia per il Premier, visto che tutti quelli che, finora, si sono scontrati con la burocrazia europea hanno subìto sonore sconfitte, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, come la Grecia, costretta ad allinearsi ai dettami della trojka nella scorsa estate, nonostante il movimento di pubblica opinione contro l’Unione Europea fosse, nel Paese ellenico, molto più ampio e radicato di quanto non lo sia, ora, da noi.
Quindi, l’antieuropeismo odierno di Renzi non produrrà alcun risultato concreto, se non il logoramento ulteriore di un Governo, che oggi appare chiuso intorno alla figura del suo vertice e blindato per una serie di accordi parlamentari, che non sono certo spendibili in campagna elettorale.
Verdini o Alfano potranno candidarsi nelle liste del PD?
È ovvio che la risposta non può che essere negativa, dal momento che, in quel caso, si verificherebbe una rivolta da parte della base democratica, che potrebbe avere effetti deleteri per un partito che, per governare, deve ambire a conseguire, almeno, il 40% dei voti al primo turno, se vuole evitare di sottoporsi alla prova del ballottaggio, che - di per sé - nasconde insidie di non poco conto.
In un tale contesto, nazionale ed internazionale, non si può che auspicare un atteggiamento di maggiore prudenza da parte di chi ha affascinato e sedotto gli Italiani negli anni scorsi e che, ora, invece, rischia di essere visto come una minaccia da parte degli stessi che, solo pochi mesi fa, lo vedevano come l’ultima e provvidenziale speranza per un Paese in ginocchio.
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