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Rosario Pesce
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Si apre una settimana decisiva per l’approvazione del testo di legge Cirinnà, che dovrebbe, finalmente, sancire l’introduzione di diritti fondamentali per le coppie di fatto, che vivono nel Paese, sia etero che omosessuali.
La materia è di importanza essenziale, visto che, innanzitutto, il successo dell’iter legislativo non è, affatto, scontato.
Inoltre, si sa bene che l’Italia ha una lunghissima tradizione di confronti e di scontri, quando si parla di riforma del Codice Civile: non possiamo, invero, dimenticare gli aspri scontri, ideologici e religiosi, che si produssero negli anni Settanta, quando si ragionava sull’opportunità dell’introduzione dell’aborto e del divorzio.
Oggi, il clima è dissimile dall’epoca, dal momento che non esiste più un partito, come la Democrazia Cristiana, che aveva il compito di difendere, ad ogni costo, l’ortodossia cattolica, rappresentando di fatto un freno per quelle conquiste di civiltà, che furono possibili, invece, grazie alla grandissima mobilitazione della società civile, compulsata dai partiti della Sinistra e dai Radicali, che furono in prima linea nel rivendicare l’introduzione delle due leggi più innovative, finora, varate dal Parlamento repubblicano.
In questo frangente, la situazione è diversa rispetto a quella del secolo scorso, perché anche la nuova Chiesa di Papa Francesco ha compiuto straordinari passi in avanti nel riconsiderare molti aspetti della vita di coppia, cessando quindi quell’atteggiamento oscurantista, improntato alla conservazione dello status quo ed, in particolare, di una morale che - comunque - non sarebbe più rispondente alle esigenze del tempo storico, che viviamo.
È evidente, da molti decenni, che la famiglia tradizionale sia ormai in grandissima difficoltà, per cui riconoscere diritti, a chi si sforza di mettere in piedi forme di convivenza diverse da quelle sancite con il matrimonio, rappresenta non solo un avanzamento di civiltà, ma un’esigenza concreta, se non si vuol essere ipocriti, immaginando ancora un feticcio che non esiste più.
Non è possibile che un compagno non possa assistere in ospedale il proprio affetto morente, così come non è pensabile che il legittimo diritto alla pensione reversibile non esista in favore di chi ha vissuto, more uxorio, accanto al proprio amore.
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