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Le crociate: guerre di religione, per la liberazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme
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Rosario Pesce
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Quella dell’integralismo è, certamente, una malattia inguaribile, visto che passano gli anni, i secoli e non viene eradicata dalla faccia della Terra. L’ultimo evento, consumatosi nei giorni scorsi in Arabia Saudita, dimostra bene la verità del mio asserto: infatti, l’uccisione voluta dallo Stato arabo di un imam sciita è la prova che, neanche all’interno della medesima confessione religiosa, è possibile - a volte - costruire un dialogo proficuo, visto che chi ha emesso quella condanna a morte era un’autorità composta di vertici politici di fede sunnita.
È ovvio che, dopo la cosiddetta “primavera araba”, i rapporti all’interno del mondo islamico non solo sono peggiorati, ma segnano un'inversione di tendenza molto forte rispetto al precedente passato.
Chi pensa in Occidente che la rivalità storica fra Sunniti e Sciiti sia un fattore che agevoli e rafforzi la presenza del Cristianesimo, a fronte appunto di un Islam diviso ferocemente, compie un gravissimo errore di valutazione.
Le fratture fra islamici non solo sono la premessa logica per nuove guerre fra quelle popolazioni, ma costituiscono la precondizione teologica perché ciascuna delle due comunità musulmane, sparse per il mondo, si senta spinta a compiere crimini più efferati, nel vano tentativo di dimostrare la maggiore fedeltà, rispetto all’altra, ai dettami del Profeta.
I due integralismi islamici, quindi, costituiscono una condizione peggiorativa per noi Occidentali: in tal caso, infatti, il detto divide et impera non può essere certamente applicato, dal momento che l’Islam è cresciuto, in modo sistematico e vertiginoso, sulle divisioni interne, che hanno contribuito, in passato, ad inasprire i tratti feroci del suo essere anti-cristiano ed anti-occidentale.
Peraltro, è noto a tutti come, in particolare, gli Usa abbiano accelerato il processo di estremizzazione dell’Islam moderato, nel momento in cui, sciaguratamente, hanno finanziato le frange oltranziste per eliminare i Governi, che vennero spazzati via dalle “primavere arabe”, alcuni anni or sono.
Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Iraq rappresentano i più vistosi punti di riferimento di una strategia non solo fallace, ma pesantemente suicida, messa in essere dagli Stati Uniti e corroborata dal sostegno dei Paesi europei, oggi travolti da un’ondata migratoria che era, invece, contenuta dai precedenti regimi del Nord-Africa e del vicino Medioriente.
Forse, gli Usa non avevano ipotizzato che la distruzione di quei regimi avrebbe prodotto effetti disastrosi sui flussi migratori?
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