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Alessandro Manzoni ritratto di Francesco Hayez
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Rosario Pesce
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La dicotomia fra pane e libertà costituisce una costante della storia dell’umanità. Infatti, in moltissime contingenze, gli uomini hanno dovuto optare per l’uno o per l’altra, preferendo per lo più il primo.
L’esempio più illuminante, in tal senso, è rappresentato da quanto fece, nel 1799, il popolo napoletano, che tra la libertà, assicurata dal Governo degli intellettuali giacobini, ed il pane, garantito dai Borbone e dalla Chiesa, preferì quest’ultimo, contribuendo così non solo al fallimento della Repubblica Partenopea, ma molto probabilmente creando le condizioni, in quel preciso momento, dell’arretratezza del Sud d’Italia rispetto alle altre aree europee, dove invece spirava forte il vento del liberalismo e delle riforme, anche grazie ai movimenti massonici, che diedero vita ai vari Risorgimenti ottocenteschi.
Marx sosteneva una verità fondamentale, che nessuno è, tuttora, in grado di smentire: l’economia è il vero dato strutturale della società, per cui la cultura, i valori morali, la stessa politica sono solamente costruzioni sovrastrutturali, che l’uomo realizza per fornire un alibi, una giustificazione a fatti che vantano una motivazione, meramente, economicistica.
Anche nell’attuale passaggio storico, che stiamo vivendo con non poche ansie, il fattore economico si impone in modo prepotente rispetto agli altri dati del contesto sociale: la crisi, infatti, ha determinato un senso di estraniazione dell’uomo rispetto all’uomo, per cui gli elementi, che un tempo accomunavano gli individui, rischiano di divenire fattori divisivi, come nel caso della religione, che dapprima era un potente collante della società ed, oggi, invece viene vissuta come la causa scatenante di pericolosissimi conflitti interetnici.
A cosa, allora, l’Uomo può dar vita, pur di smussare le ragioni della conflittualità, che fanno del nostro odierno consesso sociale una costruzione, altamente, instabile?
A nessuno può sfuggire un dato numerico, purtroppo, inoppugnabile: negli ultimi cinque decenni, cioè nella seconda metà circa del Novecento, anche grazie alla cessazione di ogni conflitto su scala mondiale, la popolazione è incrementata notevolmente, per cui i sei miliardi di abitanti del pianeta costituiscono un valore demografico, che difficilmente finanche un’economia non in difficoltà può essere in grado di sostenere.
Diviene, quindi, inevitabile ipotizzare che una fase storica, come quella che stiamo vivendo, serva a riportare i dati della demografia entro livelli di ragionevole sostenibilità per la Terra, che invero non può produrre ricchezze sufficienti per una popolazione, che altrimenti, nel giro di pochi anni, con l’incremento esponenziale del tasso di natalità rischierebbe di arrivare a standard assolutamente insostenibili per qualsiasi tipo di economia, capitalistica o collettivistica che sia.
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