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Il cenotafio del Parco della Pace di Hiroshima
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Per la prima volta, si è sperimentato concretamente il concetto di distruzione di massa, in grado peraltro di reiterarsi per decenni, visto che, tuttora, gli effetti delle atomiche si avvertono su una popolazione, che, per effetto delle radiazioni, ha subito il cambiamento profondo del proprio genoma, oltreché della propria psicologia collettiva.
Kennedy, parlando a Berlino, dopo la costruzione del Muro, ebbe a dire che si sentiva compiutamente cittadino berlinese, volendo così sottolineare il carattere transnazionale del dramma, che in quel momento stava vivendo la Germania divisa in due. Orbene, mutuando l’espressione famosa del Presidente statunitense, l’umanità si sente, di volta in volta, giapponese, curda, ebrea, palestinese, ecc., volendo identificarsi con tutte le etnie che hanno subito devastazioni per mano dei loro simili, ma in nessun caso la storia diventa maestra di vita, per cui gli orrori, commessi una volta, si ripetono sempre identici a se stessi, anche con una maggiore portata violenta, visto che i mezzi, messi a disposizione dalla tecnologia, consentono di fare stragi su scala sempre più ampia e devastante.
L’umanità, per tal strada, rischia dunque di commemorare eventi tragici, salvo poi non fare nulla per evitarne la ripetizione.
Ad esempio, è ben noto che, nel corso di questi settant’anni, il nucleare sia stato ancora usato per portare a termine conflitti, che hanno avuto una valenza di livello locale, per cui, pur non venendo menzionate da nessun testo di storia, ci sono popolazioni che hanno rischiato l’estinzione perché, contro di loro, sono state usate armi non convenzionali.
Quando, allora, l’Uomo imparerà dai suoi errori e, finalmente, comincerà a non perpetrare l’omicidio, consapevole e barbaro, del proprio simile?
Forse, bisognerà aspettare una nuova generazione, nell’auspicio che gli avanzamenti delle scienze, collegate all’arte militare, non acuiscano i peggiori sentimenti umani?
O, forse, bisogna rassegnarsi ad un presente gramo e ad un futuro non migliore, nel corso dei quali l’Uomo ucciderà il simile, semplicemente, facendogli venire meno il necessario per la sua sopravvivenza, per cui la strage si consumerà in modo, ancora, più atroce e disperante?
Se riuscirà ad imparare dai propri errori, forse l’umanità eviterà il compiersi di viltà, che certo non sono edificanti per nessuno, a meno che non si voglia arrendersi alla certezza per cui il Male è il dato strutturale del nostro “dasein”, del nostro essere al mondo, cosicché quel quesito della teodicea moderna diventa, a maggior ragione, un mero flatus vocis, buono solo per dotti, ma inutili dibattiti di natura politico-teologica.
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