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Presepe vivente (2020) a Macchiagodena (Isernia)
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Rosario Pesce
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È difficile, di questi giorni, fare ad amici e parenti un augurio non retorico di buon Natale, vista la ripresa significativa dei contagi e le conseguenti restrizioni, che deriveranno nell’arco delle prossime settimane, utili per fronteggiare un nemico che speravamo, tutti, di poter eradicare con un ciclo di vaccinazione e con le consuete norme di sicurezza.
Siamo di fronte alla quarta ondata e sono, ormai, quasi due anni che il Covid si è impossessato della vita sociale, modificandola profondamente e, forse, in modo irreversibile.
In qualsiasi luogo pubblico, sui visi delle persone si legge la paura ed uno stato di ansia, visto che tutti noi potremmo essere contagiati da un agente patogeno, che non si riesce a debellare né con le terapie preventive, né con quelle successive.
Eppure, dal mese di marzo del 2020 molti passi in avanti sono stati, comunque, fatti.
Il vaccino ha consentito la riapertura in presenza di molti luoghi di lavoro e delle scuole, permettendo così di ricostruire un minimo di socialità.
Ma, è chiaro che la vittoria per il ritorno, pieno e compiuto, alla normalità è ancora molto lontana.
Forse, bisognerà fare a breve, finanche, una quarta dose vaccinale, così come già sta avvenendo in Israele?
Forse, sarà necessario tornare ad una nuova chiusura generalizzata?
Le domande non mancano e non rendono il Natale sereno, come sarebbe stato - invece - auspicabile.
È, però, evidente che quando le comunità si trovano a combattere contro un nemico molto forte, queste devono recuperare il senso dell’unità ed il sentimento di condivisione degli sforzi necessari per giungere alla meta.
Ed, allora, il Natale sia un’occasione utile per rafforzare il vincolo dell’appartenenza comunitaria: solo così, potremo sentirci meno soli nella sfida contro la pandemia – ed i suoi effetti disastrosi – dei prossimi mesi ed anni.
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