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Atleti in corsa, anfora panatenaica del pittore Kleophrades, 500 a.C. ca - Anfora panatenaica Kleophrades Louvre F277.jpg - Wikimedia Commons
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Rosario Pesce
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Arrivata in finale, la nostra Nazionale può e deve vincere il Campionato Europeo più anomalo degli ultimi anni, visto che si è svolto un anno dopo quello previsto a causa del Covid e visto che il campo da gioco ha dato esiti inattesi, con due squadre - come appunto l’Italia e l’Inghilterra - che non godevano del beneficio del pronostico ad inizio di competizione.
È evidente che una partita singola può avere esiti imprevedibili, per cui si potrà vincere o perdere la finale di domenica, ma certo la Nazionale italiana esce molto bene da questo torneo, rilanciando sia l’immagine del calcio, che più in generale quella dello sport dopo un lungo periodo di offuscamento.
E se lo sport spesso ha veicolato messaggi culturali che vanno ben oltre il mero aspetto tecnico ed agonistico, è evidente che un eventuale successo sportivo dell’Italia di Mancini contro l’Inghilterra nello stadio più bello del torneo – quello di Londra – non potrebbe che accendere entusiasmi sopiti da fin troppo tempo.
Invero, lo sport non può cancellare i lutti, le miserie, le tragedie degli ultimi due anni, ma può aiutare a vivere meglio un periodo di ripresa, che finora si sta consumando nella sola sfera economica, dato che quella sanitaria presenta tuttora delle criticità, visto che i vaccini non sono stati ad oggi capaci di eradicare del tutto l’infezione, che continua a circolare in modo subdolo, approfittando della calura estiva e del fatto che chi si ammala molto spesso è asintomatico.
Ma, dai dolori bisogna rinascere, perché nessun individuo e nessuna nazione possono ristagnare in una condizione incerta, come quella che abbiamo vissuto dallo scoppio della pandemia in poi.
Ed, allora, è giusto che la finale degli Europei sia ad un tempo un punto di conclusione di un periodo buio, come pochi altri nella storia recente, ed un punto di partenza per noi tutti che, dalla tragedia, auspichiamo la palingenesi di un’intera umanità, che dinnanzi a sé vede - comunque - un futuro dai contorni ancora non ben definiti.
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