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Rosario Pesce
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È evidente che, da una settimana a questa parte, il nostro Paese vive l’ansia derivata dal coronavirus, anche in modo giustificato, visto che in meno di sette giorni ha già cagionato circa trenta morti, che non sono una cifra da poco per una nazione, come la nostra, dove il contagio ha interessato ancora poche regioni.
In questa vicenda molto triste, il cui esito non è scontato, molti errori sono stati commessi, in particolare in termini di comunicazione, visto che nell’arco di pochi giorni più volte è mutato l’atteggiamento del decisore politico, incerto se prendere decisioni draconiane o se stemperare gli animi, con un comportamento apparentemente meno ansiogeno.
Certo è che siamo, oggi, il Paese europeo più colpito e che non conosciamo gli sviluppi delle prossime due settimane, quando il contagio potrebbe rallentare ovvero scoppiare in tutta la sua drammaticità.
Altresì, non piace invero il richiamo che viene fatto in merito alle morti avvenute: si dice che muoiono gli anziani ed i soggetti a rischio, ma questi non sono forse cittadini come gli altri, per cui la loro morte non è drammatica come le altre?
È chiaro che, poi, nella gestione della crisi molto sta influendo la distribuzione delle competenze e delle responsabilità dei decisori.
Sono, infatti, almeno tre i livelli politico-istituzionali che possono intervenire in tale materia: il Governo centrale, le Giunte regionali ed i Sindaci e non sempre questi tre livelli hanno operato in perfetta sinergia o con la medesima strategia, a dimostrazione del fatto che, di fronte a simili emergenze, sarebbe molto più funzionale accentrare i poteri decisionali, onde evitare atteggiamenti divergenti, se non manifestamente contraddittori fra loro.
Ed, infine, ci sono i mass-media, che dalla scorsa domenica non parlano di altro se non dell’infezione.
Questi, invero, pur facendo benissimo il proprio dovere professionale, forse ingenerano ulteriori ansie, oltre quelle già legittime visto che ci troviamo in presenza di un contagio che può causare un numero altissimo di morti in tutto il mondo.
Forse, sarebbe opportuno spegnere la tv, per non subire notizie che possono appesantire - ulteriormente - la condizione psicologica di milioni di Italiani, che già prefigurano il loro futuro in caso di contagio?
Certo è che l’informazione, in simili casi, può determinare un miglioramento o un peggioramento della percezione del problema da parte della pubblica opinione, ed in tal caso sembra che finanche la comunicazione abbia contribuito – suo malgrado – a creare un clima che non aiuta l’Italia ad uscire da una crisi, il cui orizzonte ci è - tuttora - ignoto.
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