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Rosario Pesce
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È evidente che, nella nostra società ipertecnologica, comincia a far difetto la memoria collettiva, che invece fino al secolo scorso era uno dei patrimoni che veniva custodito con maggior cura.
Infatti, la trasmissione orale di fatti, racconti, aneddoti era devoluta agli anziani, i quali erano custodi di informazioni preziose per le nuove generazioni, che in quelle notizie così trasmesse loro identificavano le ragioni del proprio essere.
La fine di quel mondo si è consumata assai rapidamente nel corso della seconda metà del Novecento e, soprattutto, nel primo ventennio del nuovo secolo, visto che la digitalizzazione dei processi di comunicazione ha eliminato il rapporto virtuoso fra giovani ed anziani, fra mondi diversi, di fatto costituendo un nuovo modello di comunicazione, che esclude a-priori chi, per ragioni culturali o anagrafiche, rimane fuori dalla nuova fase della rivoluzione industriale e dei consumi.
In questo modo, la comunicazione avviene in modo orizzontale e non verticale fra generazioni distinte e, quindi, la memoria collettiva si infrange sugli scogli di una società liquida, che preferisce l’immediatezza del consumo al piacere della conservazione di un’informazione ovvero di un valore ad essa connesso.
In questo modo, è chiaro che il consesso sociale perde non solo dei dati, ma soprattutto un fattore identitario, che diviene sempre più tenue in una dinamica sociale fluida che tende a consumare fin troppo rapidamente il presente e ad eliminare ciò che appare vecchio e desueto, così come si fa la notte di San Silvestro con gli oggetti vecchi non più utili.
La memoria collettiva, quindi, diviene labile se non del tutto assente e non è un caso forse se, in una società siffatta, la patologia neurologica che preoccupa maggiormente è quel morbo di Alzheimer che distrugge la memoria individuale dei pazienti, consentendo loro la vita in una dimensione in cui il passato quasi non c’è più.
Siamo, quindi, in presenza di una desertificazione informativa, che paradossalmente si compie in un momento storico nel quale, invece, la tecnologia consente un’esplosione dei canali e delle modalità di comunicazione.
Forse, una società senza memoria può resettare le cose peggiori del proprio passato e ripartire solo da quelle migliori del presente?
Forse, una società priva di memoria è pronta a ripetere gli errori del passato?
Forse, il nuovo morbo sociale ci riconduce alla condizione iniziale di “2001 Odissea nello spazio”, con l’uomo ridotto alla dimensione dell’ominide che distrugge ciò che non è in grado di comprendere e di razionalizzare a pieno?
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