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Rosario Pesce
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Ha ragione il nostro Capo di Stato, quando dice che la Guerra di Liberazione è stata un Secondo Risorgimento.
D’altronde, sappiamo bene come la nascita in ritardo dello Stato unitario sia stata una delle cause dell’avvento del Fascismo, che non a caso ha riguardato l’Italia alla pari della Germania, uniche due nazioni europee a conoscere la forma statuale solo nel corso dell’Ottocento.
La Guerra di Liberazione è stata una seconda nascita per l’Italia, visto che non solo ha determinato la morte del Fascismo, ma anche della monarchia sabauda, che non aveva saputo prendere le distanze dai crimini di Mussolini e dei Fascisti, per cui – come giustamente ha detto il Presidente Mattarella – la guerra partigiana è stata la forma più compiuta del nostro Risorgimento.
È ovvio che gli strascichi si sono protratti per molti decenni: ancora tuttora, anche se sono trascorsi più di settant’anni da quegli eventi, si avverte che il nostro Paese deve ancora, comunque, fare i conti con il proprio recente passato, da cui non è mai uscito del tutto, nonostante i tentativi di pacificazione nazionale, che molti settori della cultura e della politica hanno tentato di condurre in porto nel corso degli anni della Repubblica.
Forse, in Italia ci sono ancora i Fascisti?
È evidente che la risposta è negativa, ma è altrettanto evidente che, di tanto in tanto, nasce qualcuno che vuole lisciare il pelo a quella tradizione, finanche solo per scopo meramente elettoralistico e ciò non è, di certo, cosa buona per la nostra democrazia, che da venti anni a questa parte è alla ricerca di un equilibrio istituzionale che sembra non raggiungere mai in modo, effettivamente, compiuto.
Forse, come il Primo Risorgimento ha trovato il suo compimento nel Secondo, questo a sua volta deve ricercare il suo esito ultimo in un terzo momento catartico per il Paese intero?
Certo è che la lotta per la libertà non cessa mai.
Una simile verità, pur nella sua nudità, deve essere ben chiara a tutti, sia a coloro che hanno l’età giusta per aver conosciuto fatti ed eventi essenziali per la nostra democrazia, sia a coloro che, oggi, diventano maturi e si affacciano alla vita pubblica per la prima volta.
D’altronde, quel Paese, che non ricorda più la sua storia, è tragicamente pronto a ripeterla.
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