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Rosario Pesce
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È noto a tutti che il principale centro della Valle dell’Irno abbia una tradizione storica molto importante, visto che il nome, che prende dalla famiglia medievale normanna che per secoli l’ha governato, è uno dei più autorevoli della storia dei nuclei familiari e dinastici di quel tempo.
Non sfugge il fatto che, nei secoli conclusivi del millennio medievale, quella famiglia ha giocato un ruolo essenziale nei rapporti e negli equilibri politico-militari dell’Italia meridionale, a tal punto che la vicenda della famiglia Sanseverino si intreccia con quella della guerra fra Papato ed Impero ed, in particolar modo, condiziona non poco la successione dinastica sul trono di Napoli, in particolare nei secoli delle dominazioni angioina ed aragonese ed, ancora, di quella imperiale di Carlo V.
Peraltro, non si può non rimarcare come la famiglia Sanseverino fu capace – come si dice oggi – di fare rete, per cui, pur essendo composta di immigrati provenienti dalle terre normanne, nel giro di pochi decenni dopo il Mille quella famiglia conquistò progressivamente i possedimenti ecclesiastici dell’odierna provincia di Salerno, poi di quella di Caserta e, così via, fino ad avere possedimenti vasti in Calabria ed in Lucania.
La conclusione dell’epopea medievale e, quindi, l’inizio dell’età moderna segnò, poi, non solo il declino della famiglia, estintasi per mancanza di eredi, ma anche il progressivo ridimensionamento del territorio di Sanseverino, che, in epoca successiva, è arrivato a coincidere con quello attuale del Comune capofila della Valle dell’Irno.
È evidente che con il contributo di tutti – Regione, Ente Locale, associazioni, intellettuali, Scuole, Università – quel patrimonio storico, che oggi trova una plastica rappresentazione del suo prestigio assoluto nel Castello Medievale e nel Palazzo Vanvitelliano, oltreché in molti palazzi gentilizi che sono diffusi nel capoluogo e nelle frazioni, deve tornare a splendere in tutto il suo fulgore, anche perché esso può rappresentare un volano economico fondamentale per un territorio di cerniera, che si trova a cavallo di tre province (Avellino, Salerno e Napoli) e che ha perso, a causa della crisi, la sua antica vocazione commerciale.
È necessario, in tal senso, uno sforzo che non può concludersi nell’arco di una generazione solamente, e soprattutto una particolare unità di intenti fra tutti i soggetti istituzionali, che sono deputati alla promozione del territorio, anche perché le vicende degli ultimi anni hanno dimostrato come aree, che hanno una storia meno significativa di quella dell’antico Gastaldato di Rota, sono state capaci di inserirsi in circuiti all’insegna del turismo culturale ed enogastronomico che - invero - sono assai virtuosi in termini economici.
Un auspicio, forse, può divenire realtà?
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