|
|
Rosario Pesce
|
|
L’8 settembre 1943 fu, certamente, una data essenziale per la storia del nostro Paese, che si svincolava dall’alleanza con i Nazisti ed entrava in un biennio tragico: quello della guerra civile fra gli Italiani che intendevano, ancora, rimanere fedeli al vecchio alleato e coloro che invece, con il sacrificio della loro vita, hanno creato le premesse per l’edificazione, finalmente, di uno Stato democratico e repubblicano.
È ovvio che, quando un Paese si arrende e firma un armistizio, non è mai - questo - un evento lieto, perché la resa di per sé segnò il fallimento di un’intera classe dirigente e di una comunità nazionale, che per venti anni aveva creduto al Fascismo ed aveva sperato che, per davvero, l’ingresso nella Seconda Guerra Mondiale potesse essere una comoda passeggiata finalizzata alla conquista di un posto al sole.
Così non fu.
La Guerra segnò il tracollo di Mussolini, ma cosa ancora più tragica fu il comportamento opinabile della Corona sabauda, che nelle giornate immediatamente successive alla stipula dell’armistizio abbandonò Roma per timore di essere vittima delle rappresaglie dei Tedeschi, lasciando il Paese in un clima di totale disordine, visto che - in primis - le Forze Armate erano state private del vertice politico ed istituzionale, che avrebbe dovuto essere il faro per i loro conseguenti comportamenti.
Pertanto, l’8 settembre, nell’immaginario di tutti, non solo segna una sconfitta militare, ma incarna l’immagine di un Paese ed, in particolare, di un ceto dirigente che scappa di fronte alle proprie responsabilità, venendo meno ad un patto di coesione nazionale che ogni governante dovrebbe sempre rispettare, a meno che non voglia perdere l’onorabilità ed il rispetto da parte di chi è governato.
I due anni successivi all’8 settembre 1943 segnarono un’altra tragedia nazionale: quella della guerra, appunto, fra connazionali che ha caratterizzato, ancora di più, la storia dei decenni conclusivi del Novecento, visto che, per moltissimi anni, gli Italiani hanno creduto di poter essere divisi in due schieramenti nettamente contrapposti l’uno all’altro, mentre si sa bene che l’esercizio del potere legittimo in democrazia deve presumere la convergenza dei contrari e non certo la contrapposizione oltre ogni ragionevole limite.
Speriamo – e questo auspicio non può che essere dell’intera comunità nazionale – che non si riproduca un nuovo 8 settembre, anche perché questo sarebbe esiziale per il Paese e per l’intera nazione, che ha bisogno di meno slogan, di più fatti concreti e, soprattutto, di chi non scappa di fronte all’assunzione delle proprie ineluttabili responsabilità.
|
|