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Rosario Pesce
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Quello di Napoli è un esempio di integrazione.
Chi, infatti, ha avuto la fortuna di passeggiare per le strade della città campana, nel corso di queste settimane estive, ha potuto notare nel centro, ma non meno nelle strade di periferia, l’esistenza di una colonia notevole di stranieri, che sono perfettamente integrati nel tessuto, sociale e produttivo, del capoluogo partenopeo.
Per lo più, si tratta di Asiatici – Filippini, in particolare – che lavorano o nel settore della ristorazione o in quello dell’assistenza ad anziani.
Svolgono un lavoro, in entrambi i casi, molto utile e prezioso, visto che si tratta di due attività nelle quali è essenziale il rapporto fiduciario fra il committente e l’utenza.
È evidente che non mancano, anche, gli stranieri – per lo più di colore – che, all’angolo della strada, vendono il souvenir o il prodotto taroccato, ma è chiaro che il dato dei Filippini e degli Asiatici che svolgono un lavoro, in piena legalità ed alla luce del sole, non può che essere un fattore di conforto.
Peraltro, la città di Eduardo e di Scarpetta vive una fase molto positiva della sua economia, visto che, in particolare, l’intensificazione del turismo delle crociere fa sì che, ogni martedì e sabato, interi gruppi di turisti, per lo più europei, ma anche asiatici, girano per Napoli per vivere le ore di svago e di consumo di prodotti gastronomici tipici della cucina locale, oltreché per visitare le numerosissime Chiese e luoghi monumentali di grandissimo interesse storico e culturale.
È ovvio che qualcuno potrà obiettare, dicendo che, nella provincia napoletana o in quella casertana o in quella salernitana, gli stranieri extra-comunitari vivono ancora al di fuori di qualsiasi controllo di legalità, talora in condizioni di semi-schiavitù, nel comparto dell’agricoltura, alle dipendenze di datori di lavoro che sono “padroni” nel senso più becero della parola.
Ma, quanto visto - girando per la Riviera o per via Toledo o per i Decumani - non può che far ben sperare.
Ci sono flussi migratori, che sono destinati ad una rapidissima integrazione e che possono convivere serenamente con l’elemento autoctono, nonostante le differenze culturali e religiose.
Non è un caso, se per i vicoli del Centro storico partenopeo sempre più numerose sono le donne di evidente fede islamica, che si riconoscono - immediatamente - per il velo che indossano.
Forse, pecchiamo di eccessivo ottimismo?
Forse, abbiamo avuto modo di vedere solo un aspetto del complesso processo di integrazione, razziale e culturale, nel capoluogo della Campania, nonché terza città d’Italia per numero di abitanti e per interessi economici?
Ci piacerebbe, in quel caso, essere tacciati di ottimismo, anche perché quello della volontà è il migliore presupposto per quello della ragione.
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