|
da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/30/m5s-conosciamo-davvero-luigi-di-maio/3349362/
|
|
Rosario Pesce
|
|
Uno dei punti qualificanti della politica è la decisione, che è il momento in cui la volontà viene cristallizzata in un atto che segna, in modo inequivocabile, la plastica realizzazione di una sovranità politica.
Non sempre è facile giungere ad una decisione e compito della democrazia è quello, in particolare, di indicare il percorso, la metodologia, l’iter, il protocollo con cui pervenire, finalmente, alla decisione.
La democrazia non è, però, costruita a sua volta secondo un modello unico.
Esistono due distinti modelli, quella diretta e quella parlamentare, che sono presenti in diversi Paesi d’Europa, secondo la tradizione culturale e quella istituzionale di ciascuno di questi.
La nostra, come quella tedesca, è una classica democrazia parlamentare, nata dallo spirito kelseniano, che informò le Costituzioni del dopo-prima guerra mondiale, che vennero poi imitate dai Costituenti italiani, quando realizzarono la loro opera di scrittura della nostra Carta nel biennio 1946/47.
La Francia e gli Stati Uniti, invece, hanno seguito una tradizione diversa, quella della democrazia diretta, che si è poi tradotta in due modelli di Stato, la Repubblica semi-presidenzialistica e quella presidenzialistica, che costituiscono due importanti riferimenti nel mondo intero.
È ovvio che nessun modello è buono di per sé, ma deve essere in grado di assicurare due fattori, a volte non convergenti: la maggiore ampiezza possibile dello spettro della democrazia e, per altro verso, la piena efficacia dei processi decisionali, perché, dopo ogni confronto, deve comunque derivare un atto che sintetizzi la volontà politica.
Non sempre ciò è possibile, per cui in un caso si può cadere in un sottile rischio di decisionismo, mentre nel secondo si corre il rischio di cadere in un assemblearismo, che non si traduce in azione concreta.
Nel nostro Paese, fu in primis Bettino Craxi a porre il problema della forma dello Stato e della sua revisione, allo scopo di rendere più veloci i tempi di formazione dei Governi e di rendere più snelli i tempi di maturazione della legislazione e della composizione, dunque, della volontà politica, cominciando sin dalla riforma dei regolamenti parlamentari, che prevedevano ancora la regola del voto non palese, che era un utile alibi per i franchi tiratori e per chi era interessato a rallentare, soprattutto, la transizione e ratifica parlamentare degli atti governativi.
Discutere di Costituzione e della sua possibile revisione, certo, non è cosa facile, visto che i due partiti – quello della difesa dello status quo e quello della promozione di una riforma, magari secondo il modello della Quinta Repubblica Francese – saranno protagonisti del dibattito ancora nei prossimi anni, ma non si può negare che la questione non sia di stringente attualità, visto che le difficoltà evidenti nella composizione del Governo, all’indomani del voto del 4 marzo, pongono in evidenza l’esistenza di una crisi non solo politica, ma soprattutto istituzionale del nostro sistema, che si protrae almeno dagli anni Settanta del secolo scorso.
Le soluzioni politiche, quindi, di per sé non sono affatto sufficienti, ma è necessario che, molto seriamente e con il giusto atteggiamento di prudenza, si ipotizzi una riforma della Carta.
Forse, la stessa legislatura, appena iniziata, potrebbe sorprendere tutti, perché può divenire costituente, nonostante le vistose difficoltà incontrate in questo primo scorcio?
|
|